AMO LA LIBERTÀ MA PREFERISCO L’AUTONOMIA, Di Paul Goodman

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almylai
view post Posted on 24/11/2007, 18:35




AMO LA LIBERTÀ MA PREFERISCO L’AUTONOMIA
Di Paul Goodman

Il principio primo dell’anarchismo non è la libertà, ma l’autonomia. Questa è l’ipotesi
«controcorrente» di uno dei più interessanti e originali pensatori anarchici americani. Di Paul
Goodman (1911-1972) sono stati pubblicati in italiano:La gioventù assurda (1964),
Communitas (con il fratello Percival, 1970), La società vuota (1970) e Individuo e comunità
(1995). Questo articolo, inedito in italiano, è stato pubblicato nel 1972, titolo originale: Just an
Old Fashioned Love Song


Molti filosofi anarchici partono dalla voglia di libertà. Ma se la libertà è un concetto metafisico, o
un imperativo morale, mi lascia freddo.
Non riesco a pensare per astrazioni. Il più delle volte, però, la libertà degli anarchici è un profondo
grido animale o una supplica di natura religiosa, come l’inno dei prigionieri nel Fidelio. Si sentono
esistenzialmente imprigionati dalla natura delle cose o da Dio, o perché hanno visto e patito troppa
schiavitù economica, o perché sono stati privati delle loro libertà, o perché colonizzati interiormente
dagli imperialisti.
Per diventare umani devono sbarazzarsi dell’imposizione.
Poiché, nel complesso, la mia esperienza è sufficientemente ampia, non bramo la libertà più di
quanto voglia «espandere la coscienza». Potrei comunque sentirmi diversamente se fossi soggetto a
censura letteraria, come Aleksandr Solzenicyn. Io in genere sto male non perché mi sento
imprigionato, ma piuttosto perché mi sento esiliato o nato sul pianeta sbagliato. Di recente mi
lamento perché sono confinato a letto. Il mio vero problema è che il mondo per me non è
funzionale, e capisco che la mia stupidità e codardia lo rendono ancor meno funzionale di quanto
potrebbe essere.
Certo, alcune atrocità mi prendono alla gola, come succede a chiunque altro, e io desidero
ardentemente liberarmene: insulti all’umanità e alla bellezza del mondo che mi lasciano sdegnato;
un’atmosfera di bugie, trivialità e volgarità che immediatamente mi disgusta; le autorità costituite
non conoscono il significato della generosità e spesso sono semplicemente invadenti e sprezzanti
(come diceva Errico Malatesta, tu provi semplicemente a fare a modo tuo, loro ti ostacolano e alla
fine la colpa del conflitto che ne emerge è tua). La cosa peggiore è che le azioni distruttive verso la
natura da parte del potere sono dementi. Nelle tragedie antiche leggiamo di uomini arroganti che,
commesso un sacrilegio, attirano la rovina su di sé e su chi gli sta intorno; analogamente, a volte
temo superstiziosamente di appartenere alla stessa tribù dei nostri statisti e di camminare sulla loro
stessa terra.
Ma no! Gli uomini hanno il diritto di essere pazzi, stupidi e arroganti. È la nostra specialità. Il
nostro errore sta nel conferire a qualcuno il potere collettivo. L’anarchia è l’unica forma politica
sicura.
Uno dei più diffusi equivoci sugli anarchici è che essi credano alla «bontà della natura umana» e
che perciò ci si possa fidare degli uomini perché si autogovernino. In realtà tendiamo ad adottare la
prospettiva pessimistica: non ci si può fidare della gente, perciò bisogna impedire la concentrazione
del potere. Chi comanda è particolarmente soggetto alla stupidità perché non è a contatto con la
concreta esperienza particolare e continua invece a interferire con la libera iniziativa delle altre
persone e a renderle stupide e ansiose. Immaginate cosa può fare al carattere di un uomo venire
deificato come Mao Tse Tung o Kim Il Sung. O pensare abitualmente all’impensabile, come i
padroni del Pentagono.
Per me, il principio primo dell’anarchismo non è la libertà ma l’autonomia. Poiché intraprendere
qualcosa, farlo a modo mio ed essere un artista con le cose concrete è il genere di esperienza che
amo, sono restio a farmi dare ordini da autorità esterne, che non conoscono concretamente il
problema o i mezzi disponibili. Soprattutto, un comportamento è più elegante, vigoroso e
discriminante senza l’intervento di autorità che vanno dall’alto verso il basso, si tratti dello Stato,
della collettività, della democrazia, della burocrazia corporativa, delle guardie carcerarie, dei decani
universitari, dei piani di studio predeterminati o della pianificazione centralizzata. Tali cose possono
essere necessarie in certe emergenze, ma a costo della vitalità. Questa è una proposizione empirica
nella psicologia sociale e penso che l’evidenza sia pesantemente in suo favore. In generale, servirsi
del potere per portare a termine un lavoro è inefficace nel breve periodo. Il potere esterno inibisce la
funzionalità interna. Come diceva Aristotele, «l’anima si muove da sé».
Nel suo recente libro Oltre la libertà e la dignità, B.F. Skinner sostiene che questi sono pregiudizi
difensivi che interferiscono con il condizionamento operativo delle persone verso i traguardi che
desiderano, la felicità e l’armonia. (È strano incontrare di questi tempi una riesposizione nuda e
cruda dell’utilitarismo di Jeremy Bentham). Non coglie il punto.
Ciò che si può obiettare al condizionamento operativo non è che violi la libertà, ma che il
comportamento che ne segue è sgraziato e di bassa qualità, oltre che incostante. Non è assimilato
come una seconda natura. Skinner è così impressionato dal fatto che il comportamento di un
animale possa essere plasmato completamente in modo da agire secondo lo scopo dell’istruttore,
che non riesce a confrontare questa azione con il comportamento inventivo, flessibile e in continuo
sviluppo dell’animale che agisce e risponde agli stimoli del suo ambiente naturale. E, per inciso, la
dignità non è un pregiudizio specificamente umano, come egli pensa, ma è l’atteggiamento usuale
di ogni animale, che viene rabbiosamente difeso quando l’integrità organica o lo spazio individuale
vengono violati.
Desiderare la libertà è certo uno stimolo per il cambiamento politico più forte dell’autonomia.
Dubito comunque che sia altrettanto tenace. La gente che fa il proprio lavoro a suo modo di solito
riesce a trovare altri mezzi che non siano la rivolta per continuare a farlo, compresa molta resistenza
passiva all’interferenza. Per realizzare una rivoluzione anarchica, nei momenti iniziali della sua
attività Michail Bakunin voleva affidarsi proprio ai reietti, ai delinquenti, alle prostitute, ai forzati,
ai contadini senza terra, ai sottoproletari, a quelli che non avevano niente da perdere, neanche le
loro catene, ma che si sentivano oppressi. C’erano molte truppe di questo tipo nel tetro periodo di
massima fioritura dell’industrialismo e dell’urbanizzazione. Ma naturalmente è difficile organizzare
per una lunga lotta gente che non ha nulla e viene presto facilmente sedotta da qualche fascista che
può offrire armi, vendetta e un momentaneo afflusso di potere.
Il pathos delle persone oppresse che bramano la libertà è che, se riescono a liberarsi, non sanno cosa
fare. Non essendo mai stati autonomi, non sanno come affrontare le situazioni e prima che imparino
è di solito troppo tardi. Nuovi dirigenti hanno assunto il comando, che possono essere più o meno
benevoli e fedeli alla rivoluzione, ma non hanno mai avuto fretta di abdicare.
Gli oppressi sperano troppo dalla Nuova Società, invece di stare caparbiamente attenti a gestirsi le
proprie cose. L’unico movimento di liberazione di successo a cui riesco a pensare è la rivoluzione
americana, realizzata in gran parte da artigiani, coloni, mercanti e professionisti che innanzitutto
avevano interessi in gioco, volevano liberarsi da interferenze esterne e godettero successivamente di
una prospera semi-anarchia per circa trent’anni: allora nessuno si preoccupava molto del nuovo
governo. Erano protetti da tremila miglia di oceano. I rivoluzionari catalani durante la guerra civile
spagnola avrebbero potuto ottenere lo stesso risultato per le stesse ragioni, ma fascisti e comunisti li
fecero fuori.
L’anarchia richiede competenza e fiducia in sé stessi, il sentimento che parte del mondo mi
appartiene. Non fa presa tra gli sfruttati, gli oppressi e i colonizzati. Così, sfortunatamente, manca di
una spinta potente verso il cambiamento rivoluzionario. E tuttavia nelle floride società liberali
d’Europa e d’America abbiamo una favorevole possibilità di questo tipo: le persone
sufficientemente autonome, fra la classe media, i giovani, gli artigiani e i professionisti, non
possono fare a meno di vedere che non è possibile continuare così con le attuali istituzioni. Non
possono fare un lavoro onesto e utile o praticare nobilmente una professione; le arti e le scienze
sono corrotte; imprese modeste devono essere gonfiate oltre ogni misura per sopravvivere; i giovani
non riescono a trovare una vocazione; è difficile crescere i bambini; il talento è soffocato dai titoli
di studio; l’ambiente naturale viene distrutto; la salute è messa in pericolo; la vita della comunità è
inconsistente; i quartieri sono brutti e insicuri; i servizi pubblici non funzionano; le tasse vengono
sperperate per guerre, insegnanti e politici.
Allora essi possono fare dei cambiamenti, per estendere le aree di libertà eliminando sempre più le
interferenze. Tali cambiamenti possono essere a spizzichi e non drammatici, ma devono essere
essenziali, poiché molte delle attuali istituzioni non possono essere rimodellate e la tendenza del
sistema nel suo insieme è disastrosa. Mi piace il termine marxista «estinzione dello Stato», ma deve
iniziare ora, non in futuro; e la meta non è una Nuova Società, ma una società tollerabile in cui la
vita possa andare avanti.

traduzione di Francesco Minola
 
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DR_PanG
view post Posted on 25/11/2007, 00:33




l'autonomia prefigge qualcosa da cui essere autonomi, l'anarchia disconoscendo lo stato non ne può essere autonomo...al massimo può essere totalmente scevro da vincoli di una cosa che per lui non esiste...
 
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almylai
view post Posted on 25/11/2007, 11:33




CITAZIONE (DR_PanG @ 25/11/2007, 00:33)
l'autonomia prefigge qualcosa da cui essere autonomi, l'anarchia disconoscendo lo stato non ne può essere autonomo...al massimo può essere totalmente scevro da vincoli di una cosa che per lui non esiste...

Se leggi bene, il ragionamento che fa Goodman è squisitamente liberale: "In realtà tendiamo ad adottare la
prospettiva pessimistica: non ci si può fidare della gente, perciò bisogna impedire la concentrazione
del potere"
.
In questa visione "pessimistica" dell'anarchia, si presume che il potere politico ed istituzionale è ineliminabile, pertanto la verà libertà consiste nel conquistare spazi di autonomia individuale e collettiva, evitando concentrazioni di potere.
 
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Chaos Phoenix
view post Posted on 25/11/2007, 13:48




CITAZIONE (almylai @ 25/11/2007, 11:33)
"In realtà tendiamo ad adottare la
prospettiva pessimistica: non ci si può fidare della gente, perciò bisogna impedire la concentrazione
del potere".
In questa visione "pessimistica" dell'anarchia, si presume che il potere politico ed istituzionale è ineliminabile, pertanto la verà libertà consiste nel conquistare spazi di autonomia individuale e collettiva, evitando concentrazioni di potere.

Che è molto simile a quello che penso io in effetti,anche se non mi auspico questa condizione come la meta definitiva,ma come un modo per salvarsi da questo sistema sociale.
 
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DR_PanG
view post Posted on 25/11/2007, 15:37




CITAZIONE (almylai @ 25/11/2007, 11:33)
CITAZIONE (DR_PanG @ 25/11/2007, 00:33)
l'autonomia prefigge qualcosa da cui essere autonomi, l'anarchia disconoscendo lo stato non ne può essere autonomo...al massimo può essere totalmente scevro da vincoli di una cosa che per lui non esiste...

Se leggi bene, il ragionamento che fa Goodman è squisitamente liberale: "In realtà tendiamo ad adottare la
prospettiva pessimistica: non ci si può fidare della gente, perciò bisogna impedire la concentrazione
del potere"
.
In questa visione "pessimistica" dell'anarchia, si presume che il potere politico ed istituzionale è ineliminabile, pertanto la verà libertà consiste nel conquistare spazi di autonomia individuale e collettiva, evitando concentrazioni di potere.

se l'anarchico riconosce autorità allo stato e cerca di rifuggirne le leggi che differenza ci sarebbe tra l'anarchico e il criminale?
 
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almylai
view post Posted on 25/11/2007, 16:34




CITAZIONE (DR_PanG @ 25/11/2007, 15:37)
se l'anarchico riconosce autorità allo stato e cerca di rifuggirne le leggi che differenza ci sarebbe tra l'anarchico e il criminale?

Io proporrei la domanda in altri termini.
Che differenza c'è fra il rivoluzionario ed il riformista?
Che è poi la stessa differenza fra socialismo legalista e illegalista.

Dire che il rivoluzionario è un criminale è una visione riduttiva, seppur esatta. Dipende dai punti di vista.
Per il rivoluzionario il vero criminale è chi gestisce il potere. Anche questa è una visione riduttiva, ma ha avuto le sue ragioni storiche.

Dobbiamo entrare nell'ordine di idee che è esistito un socialismo, anarchismo, comunismo rivoluzionario ed uno legalista o riformista.

Esiste un pensiero anarchico riformista, che non rinnega la rivoluzione, semplicemente la preferisce non violenta.
Esiste un pensiero anarchico che nega lo Stato, ma non tutte le istituzioni politiche: si chiama federalismo libertario.



 
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DR_PanG
view post Posted on 25/11/2007, 17:09




visione semplicistica e di comodo, è come a dire: La mafia è criminale, io non la posso abbattere, mi distanzio da essa, ne sono autonomo e mi faccio i fatti miei che campo 100 anni, piuttosto che cercare le radici del problema e cambiarle, cambiarle vuol dire soprattutto non estraniarsi dal problema ma immergeci le mani. Preferisco una persona che se vede la politica marcia, Fa politica e la cambia, che il menefreghista. Come preferisco l'anarchico riformista a questa visione "autonomista" dell'anarchico...
 
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almylai
view post Posted on 25/11/2007, 17:37




CITAZIONE (DR_PanG @ 25/11/2007, 17:09)
visione semplicistica e di comodo, è come a dire: La mafia è criminale, io non la posso abbattere, mi distanzio da essa, ne sono autonomo e mi faccio i fatti miei che campo 100 anni, piuttosto che cercare le radici del problema e cambiarle, cambiarle vuol dire soprattutto non estraniarsi dal problema ma immergeci le mani. Preferisco una persona che se vede la politica marcia, Fa politica e la cambia, che il menefreghista. Come preferisco l'anarchico riformista a questa visione "autonomista" dell'anarchico...

Può darsi.
Ma non è il caso di Paul Goodman, che è stato un attivista della sinistra americana, negli anni '60 e inizi '70.

L'elogio dell'autonomia, in Goodman, non consiste nell'elogio della non politica.
Semplicemente la sua è una critica di un certo pensiero rivoluzionario palingenetico, che vede negli oppressi schiavizzati, l'unica classe capace di cambiare lo stato attuale e, soprattutto, l'unica classe che abbia interesse al cambiamento.

In realtà le cose stanno in maniera diversa, le uniche rivoluzioni riuscite e vincenti sono quelle che hanno visto come protagonisti ceti e individui che avevano esperienza di autonomia (artigiani, commercianti, piccola borghesia, coltivatori autonomi) e che aspiravano a maggiore autonomia. Goodman fa l'esempio della rivoluzione americana.

I proletari, non abituati all'autonomia, finiscono per affidarsi al fascismo (rosso o nero).
Come vedi non è rifiuto della politica e della lotta politica, tutt'altro.
 
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DR_PanG
view post Posted on 25/11/2007, 18:38




non mi sembra che nessuna rivoluzione sia mai riuscita a portare il 100% dei successi sperati, quindi nessuna è completamente riuscita. Ad esempio la rivoluzione americana a cosa ha portato? A una società più marcia della precedente?
 
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almylai
view post Posted on 25/11/2007, 18:50




La rivoluzione americana ha portato a maggiore libertà, non alla perfezione.
Goodman criticava la società americana ed il capitalismo, ma non la rivoluzione liberale che invece deve essere portata a compimento (quindi perfezionata in direzione socialista e libertaria):

"Per avere una comunità stabile e completa in cui i giovani possano diventare
uomini dobbiamo faticosamente portare a compimento la nostra nuova
tradizione rivoluzionaria.
In modo paradossale, questa decisione stoica esprime una posizione
conservatrice, che mira alla stabilità ed all'equilibrio sociale.
Spesso, infatti, non si tratta di fare innovazioni, ma di riguadagnare e
ristabilire le giuste proporzioni.
Ma certo, nel nostro sistema di vita, dispersivo e unilaterale, la proposta
di conservare le risorse umane e di sviluppare le capacità umane è divenuta
un'innovazione radicale.
[...]
Quanto a me, ho un atteggiamento conservatore, magari cauto; eppure spero
che l'attuale regime americano sia attaccato ben più di quanto non lo sia
stato finora: dai giovani che non tollerano di essere manipolati; dai neri
che sono stati esclusi; dalle casalinghe e da quanti comprano prodotti di
prima necessità in contanti a prezzi gonfiati da una inflazione provocata
dai conti spese delle ditte private e dai funzionari pubblici; dai gruppi
professionali che pretendono di fare il proprio lavoro e di non essere
trattati come impiegati da sportello.
[...]
E' vero che, a causa della massiccia urbanizzazione e dell'interdipendenza
dei sistemi tecnici, i paesi progrediti sono più vulnerabili agli eventi
catastrofici, e questo fatto provoca un'angoscia tangibile. ma ci sono più
probabilità di guasti provocati dalle rispettabili ambizioni della Eastern
Airlines o della Consolidated Edison che da azioni di sabotaggio di
rivoluzionari.
Ciò nonostante, io penso che la retorica rivoluzionaria debba essere non
violenta, come lo sono state nella maggior parte dei casi le azioni, anche
se frange violente sono inevitabili".
 
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9 replies since 24/11/2007, 18:35   258 views
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