| Si ringrazia Notizie Radicali per aver pubblicato a puntate on-line questo libro scritto quasi 50 anni fa da Mario Boneschi, Leopoldo Piccardi ed Ernesto Rossi.
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Verso il regime (1)
di Mario Boneschi, Leopoldo Piccardi, Ernesto Rossi
“Verso il regime” – così si intitola il libro pubblicato da Laterza nel 1960 – non espone la teoria del colpo di Stato nella seconda metà del secolo XX; offre invece uno spregiudicato e stringente dibattito su quello che stava accadendo in quegli anni in Italia alla luce di un’esperienza storica e di una visione delle cose politiche che dimostrano quanto ormai sia insufficiente a definire la realtà attuale ogni preesistente teoria del colpo di stato. Gli autori di questo libro sostengono che i colpi di Stato del nostro tempo sono operazioni a freddo, accorte, tenaci, pesantemente ineluttabili. I regimi oggi avanzano a passi felpati, senza teste rotte, sedi distrutte, omicidi e campi di concentramento: non ripudiano la legge, la violano in silenzio. Nella loro fase potenziale lasciano funzionare alcuni istituti democratici, ma li vanno svuotando di ogni forza e di ogni linfa vitale con l’isolarli e privarli delle necessarie articolazioni. Il rilassamento dei costumi, il monopolio del potere, la pratica del sotto-governo, la confusione del sacro col profano, l’utilizzazione dei grandi strumenti moderni di persuasione, la radio e la TV per il “lavaggio dei cervelli”, il graduale addormentamento dell’elettorato, la falsa euforia delle cifre ufficiali, il cieco egoismo dei privilegiati, la massificazione intellettuale del ceto medio, preparano il regime e creano le premesse di un nuovo tipo di dittatura morbida.
Sono le questioni che Mario Boneschi, Leopoldo Piccardi ed Ernesto Rossi pongono al lettore.
Introduzione
Di Luca Pavolini
Che cosa è un regime? Per Mario Boneschi è un “sistema politico nel quale una parte esercita il potere secondo le proprie parziali concezioni, senza possibilità di ricambio, forzando gli istituti politici o aggirandoli, comunque creando un sistema che non è né di libertà, né di democrazia”. Boneschi aggiunge: “Non governano più i caporali con le greche, oggi siamo nell’epoca delle dittature morbide. I colpi di Stato del nostro tempo sono colpi di Stato a freddo che richiedono opera accorta, tenace, dura, continua, costante; si costituiscono regimi che arrivano a passi felpati, modellati proprio su misura per i cattolici”. Leopoldo Piccardi ha precisato quali sono le ambizioni profonde di questo regime: “Contenere, limitare, prevenire, controllare (“sopire, lenire”, diceva Canzoni); il sogno dei suoi reggitori sembra uno solo: quello di una quiete non turbata da alcuna voce importuna”.
L’ultimo convegno degli “Amici del Mondo” non ha neppure discusso se in Italia esista o non esista un regime, se cioè il partito democristiano che governa il paese da una dozzina d’anni abbia rispettato le norme e i principi della Costituzione democratica. E nessuno ha avuto dubbi sulle forze che dominano il nostro paese alle spalle della DC: cioè i preti, i grossi industriali e l’alta burocrazia, uniti insieme nella grande alleanza che De Gasperi fondò fra il 1947 e il1948. Certo si può ancora protestare contro la DC e contro i suoi abusi, ma il regime ha dalla sua i mezzi finanziari del grande monopolio, possiede nei 47mila preti che vivono fra noi un corpo scelto di attivisti infaticabili; ciò che è peggio, può servirsi come meglio crede della macchina statale, dai prefetti fino agli operai avventizi degli Enti di Riforma. E’ già notevole che la DC nelle ultime elezioni non abbia conquistato la maggioranza assoluta.
Il regime morbido che si è stabilito in Italia non è diverso nelle linee essenziali dagli altri esempi di mezze dittature riscontrabili in altri paesi civili; la tirannide brutale non fa più parte del nostro mondo. Le dittature scoperte esistono nei paesi comunisti (nessuno escluso) o presso nazioni di rango inferiori come l’Egitto. Anche nei paesi latino-americani gli ultimi dittatori, i Perez Jimenez, i Fulgencio Batista, i Rojas-Pinilla, sono stati rovesciati. Da nessuna parte ormai si superano i limiti del giustizialismo peronista e dei suoi derivati, ricchi di finto amore per il popolo, con elezioni e relativa libertà di stampa, associazione e riunione. Le dittature di Salazar e Franco sono soltanto i modelli superstiti di una scuola antiquata ormai lontana dai gusti moderni, e i loro esempi non hanno più fortuna. La marcia sulle capitali, l’insurrezione armata ed ogni altra forma di violenza militaresca sono state ripudiate dalle destre non più impazienti, che hanno compreso benissimo quali servizi possano rendere le manipolazioni delle leggi elettorali. Obiettivamente il regime semidittatoriale di De Gaulle, votato dal popolo, è più simile all’attuale “democrazia” italiana che al regime spagnolo imposto dalla guerra civile.
I regimi conservatori di oggi (e il nostro paese lo dimostra in modo esemplare) non ripudiano la legge; la violano in silenzio. Un tempo i monarchi e i dittatori per arrivare al potere giuravano che avrebbero rispettato la Costituzione, poi un vescovo li benediva ed essi si beffavano del giuramento. Oggi la legge si rispetta nella forma e quando fa comodo la si segue con molto scrupolo: “Per gli avversari la legge si applica – scriveva a un giudice perplesso un vescovo d’una nostra città del Mezzogiorno – per gli amici si interpreta”. Non si può dire ad esempio che la nostra Costituzione sia stata totalmente ripudiata o manomessa. Certo non si è provveduto dopo undici anni a istituire l’istituto regionale, ma questa mancanza è forse l’unica grossa violazione palese del regime democristiano alla carta costituzionale: una prepotenza che la DC ha riflettuto a lungo prima di compiere, e che alcuni dei suoi esponenti hanno accettato dopo molte perplessità. Ancora oggi, del resto, non si è proclamato ufficialmente che l’istituto regionale non deve essere attuato, semplicemente non lo si applica. Se ne comprendono facilmente i motivi: anche se nella maggior parte delle regioni la DC, raccoglierebbe una somma di voti sufficiente per assicurarle il controllo dei vari organi, essa però vedrebbe limitato il suo potere in provincia da discussioni e da continui atti d’accusa al suo malgoverno, dovrebbe rendere conto di ciò che fa davanti a diciotto assemblee e non ad una sola, dibattere problemi locali che in Parlamento non hanno echi ma che sul posto finirebbero per interessare l’opinione pubblica molto più di quanto non sia nei desideri della DC, dovrebbe fare concessioni sgradite alle direzioni periferiche democristiane: soprattutto dovrebbe ridurre i poteri che le vengono dal pieno controllo dell’amministrazione dello Stato, dovrebbe cioè rinunziare a una parte di rendite della più pingue badia che possiede.
1) Segue
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