| La socialdemocrazia è un largo movimento politico e culturale in origine fondato su un'ideologia politica emersa tra la fine del XIX secolo e l'inizio del XX ad opera di sostenitori di un socialismo vagamente ispirato al pensiero di Karl Marx.
I socialdemocratici, convinti che la transizione verso una società socialista potesse essere attuata attraverso un processo democratico e non mediante una svolta rivoluzionaria, si proponevano perciò di diffondere gli ideali del socialismo nel contesto di un sistema democratico.
Essi hanno quindi identificato le loro radici politico-culturali nel revisionismo bernsteiniano, ma anche nel marxismo di Karl Kautsky, uno degli esponenti principali fra i contrari alle conclusioni di Bernstein, e nell'umanesimo socialista di impronta turatiana.
Socialismo democratico e socialdemocrazia, sono talora usati quali termini sinonimi della stessa posizione ideologica e politica.
Caratteri fondamentali
La socialdemocrazia sostiene la necessità di un programma di graduali riforme legislative del sistema capitalistico, al fine di rendere quest'ultimo più equo (solitamente con l’obiettivo di trasformarlo, nel lungo periodo, in una società socialista). Questo "doppio nodo" che esiste tra le riforme ed il pensiero socialdemocratico, ha fatto sì che per molti decenni il riformismo si identificasse nella sostanza con la socialdemocrazia, anche se filoni riformisti sono stati e sono presenti in seno al pensiero democristiano (cristianesimo sociale) ed al pensiero liberale (liberal-democrazia). Tuttavia il filone politico-culturale socialdemocratico rimane pur sempre egemone all'interno del riformismo.
Si definiscono socialdemocratici partiti che si rifanno all'esperienza dei partiti socialisti nati alla fine del XIX secolo o altre formazioni comunque di ispirazione riformista . Nella prassi contemporanea, pertanto, i partiti socialdemocratici sono formazioni progressiste, in genere aperte alle libertà personali e alla tutela non solo della classe lavoratrice ma anche del lavoro autonomo, e quindi aperto alle classi medie. I partiti socialdemocratici sono particolarmente forti nell'Europa settentrionale (Svezia, Danimarca) e in Germania. L'Internazionale Socialista definì la socialdemocrazia come la forma ideale di democrazia rappresentativa, che avrebbe potuto risolvere i problemi tipici della democrazia liberale. Tale forma ideale si sarebbe raggiunta seguendo i principi del cosiddetto welfare state (traducibile in italiano con "stato del benessere"). Il primo di questi principi guida è la libertà, che non include solo le libertà individuali, ma anche la libertà dalla discriminazione e quella dalla dipendenza dai proprietari dei mezzi di produzione o dai detentori illegittimi del potere politico, così come la libertà di poter determinare il proprio destino. Si aggiungono poi l’equità e la giustizia sociale, intese non solo come eguaglianza di fronte alla legge ma anche come equità socioeconomica e culturale, concedendo perciò a tutti gli esseri umani in quanto tali le medesime opportunità, a prescindere dalle loro differenze. Infine, vi è una sorta di solidarietà che porta all’unità e ad un senso di compassione (da intendersi, però, con accezione positiva) nei confronti delle vittime delle ingiustizie e delle disuguaglianze.
Un pò di storia
Molti partiti, nella seconda metà del XIX secolo, si autodefinirono "socialdemocratici", come l’inglese Federazione Socialdemocratica, e il partito socialdemocratico russo ma all'epoca tutti questi partiti prevalentemente marxisti prevedevano la necessità di una rivoluzione per giungere al socialismo. La situazione cambio nel corso degli anni e la pubblicazione nel 1899 da parte di Eduard Bernstein de "I presupposti del socialismo e i compiti della socialdemocrazia" diede inizio a una profonda revisione del pensiero marxista e l'abbandono della necessità della prospettiva rivoluzionaria. Malgrado le divergenze, i socialisti riformisti e quelli rivoluzionari rimasero uniti fino allo scoppio della prima guerra mondiale. Il conflitto però, acuì le tensioni interne fino alla rottura definitiva. I socialisti riformisti scelsero infatti, di appoggiare i rispettivi governi nazionali in occasione dell’entrata in guerra, cosa che per i socialisti rivoluzionari significò un vero e proprio tradimento ai danni del proletariato (visto che si tradiva il principio secondo cui i proletari di tutti i paesi dovevano essere uniti nella loro lotta al capitalismo, non prendendo parte ai conflitti fra i governi "capitalisti"). Si ebbero perciò violenti scontri fra i due schieramenti, questa nuova posizione e la successiva Rivoluzione russa del 1917 portarono ad una frattura all’interno del movimento socialista, con i socialdemocratici che abbandonarono i metodi rivoluzionari e i socialisti rivoluzionari marxisti che presero il nome di comunisti.
La socialdemocrazia dopo la seconda guerra mondiale
La maggioranza dei partiti socialdemocratici fra la fine della seconda guerra mondiale e gli anni ottanta del ventesimo secolo però finì con l’abbandonare definitivamente ogni proposta di superamento del capitalismo, rappresentando così l'ala più moderata del movimento socialista, sostenitrice di riforme sociali all’interno delle istituzioni liberal democratiche. Tappa fondamentale di questo processo è sicuramente il congresso del 1959 della SPD conosciuto come congresso di Bad Godesberg dal nome della cittadina in cui si tenne, in cui uno dei partiti più influenti della socialdemocrazia eliminò ogni riferimento al marxismo nel suo programma.
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