Karl Popper e la Società Aperta

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L'Avvocato del Diavolo
icon11  view post Posted on 11/8/2007, 12:43




Karl Popper è stato uno dei più influenti filosofi della scienza del '900. Austriaco di nascita e britannico d'adozione, Popper è ritenuto fondamentale anche per la sua riflessione politica, rivolta sempre contro il totalitarismo e in difesa della democrazia. Nonostante la sua fama, il pensiero del filosofo austriaco ha faticato a proporsi in Italia, in particolare per l'egemonia culturale delle correnti storiciste-marxiste.
Il suo capolavoro rimane La società aperta ed i suoi nemici, pubblicato al termine del secondo conflitto mondiale. Qui di seguito è riportato un sunto del suo pensiero politico.


La filosofia politica di Karl Popper

a cura di Renzo Grassano

La società aperta ed i suoi nemici
fu pubblicata nel 1945. Lo scritto maturò durante il lungo periodo di esilio di Popper in Nuova Zelanda ed è certamente il suo "capolavoro" di filosofia della politica.
Le radici del totalitarismo vengono individuate ancora una volta nello storicismo, soprattutto quello hegeliano, ma affondano nell'alba della filosofia, in autori quali Esiodo, Eraclìto, Platone, lo stesso Aristotele, ritenuto colpevole di essenzialismo. I grandi bersagli polemici sono comunque nazismo e comunismo, le teorie della razza ed il pensiero di Marx.
La manifestazione più evidente del totalitarismo è la società chiusa, di stampo tribale e collettivista, dominata dai tabu, dove la vita degli individui è regolata da norme rigide imposte d'autorità. «Una società chiusa assomiglia ad un gregge o a una tribù per il fatto che è un'unità semi-organica i cui membri sono tenuti insieme da vincoli.» Al contrario, la società aperta è quella nella quale gli uomini sono liberi di assumere il timone della loro vita, liberi di manifestare un atteggiamento critico, liberi di basare le loro decisioni sull'autorità della propria intelligenza.
La distinzione tra società chiusa e società aperta fu mutuata dal filosofo francese Bergson, il quale, comunque, lo aveva utilizzato in uno schema di pensiero diverso.

La questione che tutti si pongono è stata sempre: "chi deve governare?" Questa domanda ha provocato risposte definiti sterili, tipo: i migliori, i filosofi, un sovrano illuminato, il popolo, la razza superiore. Si tratta anche di una risposta falsa perché presuppone governanti buoni ed onesti. Per Popper occorre liberarsi di questa domanda, superandola con un'altra: «Come possiamo organizzare le istituzioni politiche in modo da impedire che i governanti cattivi ed incompetenti facciano troppo danno?»
Serve un controllo istituzionale dei governanti. Solo attuandolo risolveremo il paradosso delle democrazie, ovvero il paradosso di un popolo che sceglie la tirannide, come è accaduto in Germania con l'avvento di Hitler.

Popper tracciò una linea di demarcazione tra totalitarismo e libertà che si espresse in una netta distinzione tra dittatura e democrazia.
Scriveva in proposito:«1. La democrazia non può compiutamente caratterizzarsi solo come governo della maggioranza, benché l'istituzione delle elezioni generali sia della massima importanza. Infatti una maggioranza può governare in maniera tirannica (la maggioranza di coloro che hanno una statura inferiore a 6 piedi può decidere che sia di coloro che hanno una statura superiore a sei piedi a pagare tutte le tasse). In una democrazia i poteri dei governanti devono essere limitati ed il criterio della democrazia è questo: in una democrazia i governanti - cioè il governo - possono essere licenziati senza spargimenti di sangue. Quindi se gli uomini al potere non salvaguardano quelle istituzioni che assicurano alla minoranza la possibilità di lavorare per un cambiamento pacifico, il loro governo è una tirannia.
2. Dobbiamo distinguere soltanto fra due forme di governo, cioè quello che possiede istituzioni di questo genere e tutti gli altri; vale a dire fra democrazia e tirannide.
3. Una costituzione democratica consistente deve escludere soltanto un tipo di cambiamento che mettere in pericolo il suo carattere democratico.
4. In una democrazia, l'integrale protezione delle minoranze non deve estendersi a coloro che violano la legge e specialmente a coloro che incitano gli altri al rovesciamento violento della democrazia.
5. Una linea politica volta all'instaurazione di istituzioni intese alla salvaguardia della democrazia deve sempre operare in base al presupposto che ci possano essere tendenze anti-democratiche latenti sia tra i governati che tra i governanti.
6. Se la democrazia è distrutta, tutti i diritti saranno distrutti; anche se fossero mantenuti certi vantaggi economici goduti dai governati, essi lo avrebbero solo sulla base della rassegnazione.
7. La democrazia offre un prezioso campo di battaglia per qualsiasi riforma ragionevole dato che essa permette l'attuazione di riforme senza violenza. Ma se la prevenzione della democrazia non diventa la preoccupazione preminente in ogni battaglia particolare condotta su questo campo di battaglia, le tendenze anti-democratiche latenti che sono sempre presenti ( e che fanno appello a coloro che soffrono sotto l'effetto stressante della società...) possono provocare il crollo della democrazia. Se la comprensione di questi principi non è ancora sufficientemente sviluppata, bisogna promuoverla. La linea politica opposta può riuscire fatale; essa può comportare la perdita della battaglia più importante, che è la battaglia per la stessa democrazia.»

In altre parole, è evidente che in una società aperta le istituzioni non possono permettere ai prepotenti ed ai potenti di schiavizzare i mansueti: e questo è un limite alla libertà, che non può essere illimitata. Ma c'è un limite anche alla tolleranza: se noi la estendiamo agli intolleranti, se non siamo disposti a proteggere una società tollerante contro l'attacco degli intolleranti «allora i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con essi.» Ma ciò non è valido sempre, e queste parole servono più come un orientamento nei momenti cruciali di un eventuale attacco alla democrazia. Infatti, dice ancora Popper, la soppressione è la meno saggia delle decisioni. «Ma si deve proclamare il diritto di sopprimere gli intolleranti, se necessario anche ricorrendo alla forza, qualora essi, ripudiando ogni argomento "ricorrano all'uso dei pugni e delle pistole".»

Tra le procedure democratiche e le regole metodologiche della scienza, secondo Popper, dovrebbe realizzarsi una specie di analogia fondata sulla evidente congruenza delle situazioni: sia nell'attività scientifica che nelle attività politiche si cerca il modo di risolvere problemi. Ed anche in politica occorre fantasia, creatività, occorrono nuove ipotesi da falsificare, cioè da sottoporre ad un controllo rigoroso. Anche in politica, come s'è visto la questione della controllabilità è cruciale. Ed anche in politica il dogmatico è colui che è illuso di avere una verità definitiva, e non si rende conto che nuovi fatti, nuove scoperte, l'affermarsi di nuove ipotesi possano smentirla.

In La società aperta ed i suoi nemici abbiamo un ulteriore attacco allo storicismo che questa volta si precisa, anche coraggiosamente (visto che Popper era di orgine ebraica ed era in esilio perché perseguitato dai nazisti), contro la teoria teologica del popolo eletto. Egli contesta apertamente l'idea che Dio scelga un popolo per attuare i suoi disegni. E' evidente che tale critica si estende anche a coloro che sostituiscono la natura o qualocos'altro, a Dio.
Le ragioni dello storicismo profetico vanno dunque cercate nell'antichità, nello stesso pensiero filosofico, in uomini che come Esiodo ed Eraclìto hanno forzato la mano della storia interpretandola in modo dogmatico e definitivo. Dopo aver definito Esiodo il poeta della decadenza dell'umanità ed Eraclìto il teorico dell'immutabile legge del mutamento, Popper si scaglia contro Platone, che è poi il contrario di Eraclìto, ovvero il teorico di un modo di pensare secondo cui «il cambiamento è male e la stasi è divina.» Secondo Popper Platone fu un reazionario collocato apertamente contro le novità della democrazia ateniese, su posizioni sostanzialmente ostili a quelle dei democratici eredi di Pericle.
Anche Aristotele non è risparmiato: l'accusa è quella di essenzialismo metodologico, ovvero un modo di pensare che ha seriamente compromesso la scienza e la filosofia per secoli. Compito della scienza è infatti non ripondere alla domanda che cos'è la materia? ma descrivere il comportamento dei fenomeni: «Così la concezione scientifica della definizione "un cucciolo è un cane giovane" sarebbe che essa è una risposta alla domanda " che cosa è che chiamiamo un cane giovane?" piuttosto che alla domanda "che cos'è un cucciolo?» In sostanza, dice Popper, la scienza non persegue una spiegazione ultima e quindi non è essenzialista.
Al contrario, nelle scienze sociali permane l'essenzialismo vecchia maniera, ed il marxismo ne è l'esempio più importante.
Prima di arrivare a Marx, Popper svolge una spietata critica di Hegel, il padre dello storicismo e del totalitarismi moderni.
Gli aspetti illiberali del pensiero di Hegel sono: il culto platonizzante dello stato; la mentalità tribale e collettivista; il rifiuto di un principio etico al di sopra dello stato e la risoluzione della morale nella politica; il concetto che il solo criterio possibile di giudizio nei confronti dello stato sia il successo storico-mondiale delle sue politiche. Infine la teoria che lo stato possa esistere solo mediante la guerra, con l'aggravante della tesi di una nazione eletta a fungere di volta in volta da guida. Infine la teoria del Grande Uomo e della Personalità storica mondiale. Tutto questo, secondo Popper, fu ereditato e realizzato dal nazismo.
Inoltre, Hegel fu intellettualmente e moralmente disonesto:« Hegel realizzò le cose più miracolose. Logico sommo, fu un gioco da bambini per i suoi efficacissimi metodi dialettici estrarre conigli fisici da cappelli puramente metafisici.»

Rispetto a Marx, va notata una posizione di maggiore rispetto, anche perché non va dimenticato che Popper fu inizialmente attratto dalle idee socialiste.
Ma anche con Marx la critica è spietata. L'attacco al comunismo avviene in prima battuta come un processo di tipo epistemologico. «Credo che sia assolutamente corretto sostenere che il marxismo è, fondamentalmente, un metodo. Ma è sbagliato credere che, in quanto metodo, debba essere al riparo di ogni attacco. La verità è, più semplicemente, che chiunque intenda giudicare il marxismo, deve metterlo alla prova e citarlo in quanto metodo, cioè deve valutarlo in base a criteri metodologici. Deve insomma chiedersi se è un metodo fecondo o sterile, cioè se è o non è capace di favorire il compito della scienza.»
Popper ritiene corretto, valido e persino giusto ritenere fondamentali le condizioni economiche per una valutazione dei processi storici. Ma, secondo lui, Marx ha preso troppo sul serio il termine fondamentale. E' essenzialismo, e come tale, non è migliore di tutti gli altri. La concezione dello stato di Marx, ad esempio, è essenzialistica, risponde cioè alla classica domanda: che cos'è 'stato'? E se la risposta classica è: la forma di organizzazione del dominio della classe borghese sulla società, nascono da questo atteggiamento gravi conseguenze quali la svalutazione della politica a vantaggio dell'economia ed anche il disprezzo per la democrazia formale.
Popper è convinto, in sostanza che, alla luce di quanto è andato maturando nello sviluppo sociale, il potere politico sia autonomo da quello economico, ed in qualche modo possa anche condizionarlo. La svalutazione del politico, nel marxismo, ha portato a concezioni dogmatiche che hanno ostacolato il riformismo.
In netta controtendenza rispetto al pensiero del suo amico F. A. von Hajek , Popper fu infatti un convinto assertore del ruolo dello stato e della politica nell'economia, per certi aspetti vicino alla sinistra moderata.
Secondo Popper infatti il potere politico ha il dovere di controllare il potere economico: «Ciò significa un'enorme estensione del campo delle attività politiche. Noi possiamo chiederci che cosa vogliamo conseguire e come possiamo conseguirlo. Possiamo, per esempio, attuare un razionale programma politico per la protezione degli economicamente deboli. Possiamo fare leggi atte a limitare lo sfruttamento. Possiamo limitare la giornata lavorativa, ma possiamo fare anche molto di più. Per legge, possiamo assicurare i lavoratori ( o meglio ancora, tutti i cittadini) contro l'invalidità, la disoccupazione, la vecchiaia. In questo modo possiamo rendere impossibili certe forme di sfruttamento come quelle fondate sulla debole posizione economica di un lavoratore che deve accettare qualunque cosa per non morire di fame... [...]
Il potere politico e il suo controllo è tutto. Al potere economico non si deve permettere di dominare il potere politico; se necessario, esso deve essere combattuto dal potere politico e ricondotto sotto il suo controllo.»
 
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h1de
view post Posted on 15/8/2007, 00:07




Popper non dice chissà che pensiero nuovo, dice cose risapute che ogni essere umano dotato di un briciolo di senso morale dovrebbe cogliere, il problema è come tramutare le parole di popper, che rappresentano pur sempre una teoria, nella realtà pratica (ad esempio è giusto e doveroso difendere la democrazia anche in tempo di pace, ma è sbagliato utilizzare tale scusa come fanno gli americani)

Sono d'accordissimo sul timore di una "tirannia della maggioranza", e difatti ripeto sempre a chi mi sta vicino, che democrazia non significa solo "governo della maggioranza" ma anche e sopratutto tutela della minoranza, affinchè essa possa concorrere a divenire maggioranza.

Oggi in ogni caso, credo che i problemi siano altri, non c'è da spaventarsi di un'ipotetica tirannia della maggioranza (modello hitler eletto democraticamente) visto che le porcate sono fatte da minoranze (per lo più elites economiche) miserrime che vanno a discapito di fette enormi di persone
 
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DR_PanG
view post Posted on 15/8/2007, 09:51




quello che dobbiamo temere non è la dittatura ma il BIPARTITISMO, cioè la creazione di due soli partiti senza una vera ideologia ma due grossi crogiuoli senza bandiera che si scambiano il potere e si sostengono a vicenda, A esiste finchè B esiste.

Il Bipartitismo è la morte della democrazia perchè non può (e non vi è modo che lo faccia) rappresentare la maggioranza del popolo (e le loro ideologie), quindi provoca l'assenteismo di massa (vedi Usa, vedi Inghilterra). Il suffraggio da universale diventa parziale (votano solo chi vuole votare i due partitoni, chi non si identifica non vota).

E se guardate le ultime azioni di Prodi e di Berlusconi (che stanamente su questo sono concordi), tutto sta portando in questa direzione.

Prima dicono "FACCIAMO IL BIPOLARISMO PER RENDERE GOVERNABILE IL PAESE" (anche se non è vero), poi dicono "UNIAMO I PIù GROSSI PARTITI DELLA COALIZIONE IN UN SOLO PARTITO E FACCIAMO IN MODO CHE L'OPPOSIZIONE FACCIA ALTRETTANTO", e come ultimo tassello del loro piano: "ELIMINIAMO I PARTITI PICCOLI DALLE COALIZIONI CON UN' ALTISSIMA SOGLIA DI SBARRAMENTO"

E' di questo che bisogna aver paura. Aver paura di avere una democrazia non MULTIPARTITICA o PLURIPARTITICA (requisito fondamentale di una vera democrazia) ma semplicemente BIPARTITICA.

E sapete cosa vuol dire avere il BIPARTITISMO?

CHe c'è una dittatura a termine. Un governo monocolore che fa quello che vuole per una legislatura e poi cerca di essere rieletto, se no sale al governo l'altro partito che distrugge tutto quello fatto dal partito A, in un circolo vizioso che porta al totale immobilismo e al disamore dell'elettorato alla politica!

Ecco il futuro se Casini e il PSI non rompono gli schemi!
 
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L'Avvocato del Diavolo
view post Posted on 15/8/2007, 12:11




Ben venga il pluripartitismo, sancito dal proporzionale(una soglia del 5% non guasterebbe)ma la mia unica preoccupazione(come dissi una volta a Giulio, caro PanG ;)) è che ora come ora si correrebbe il rischio di un nuovo grande centro(con UDEur, UDC, parti di Forza Italia e,magari, ma non mi sorprenderebbe del tutto, il PD). Questo significherebbe, in fin dei conti, un monopolarismo sul modello DC, quindi scarsa governabilità e rischio di una nuova struttura clientelare simil-mafiosa. Per questo spero in un forte Partito Socialista a sorreggere un'importante federazione laica che risulti determinante nelle elezioni e, magari(fra qualche decennio...), predominante. :italia:
 
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DR_PanG
view post Posted on 15/8/2007, 13:48




ti ricordo che il primo governo socialista in italia nacque proprio per dare una guida laica e non più democristiana al paese...
quindi che gli altri si organizzino come vogliono, basta che i socialisti restino laici con coerenza!
 
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L'Avvocato del Diavolo
view post Posted on 15/8/2007, 14:04




Il problema è che all'epoca il PSI aveva il 9-10% ed era la terza forza del Paese. Ora siamo sicuri che sarebbe così? E saremmo disposti a metterci con il Nuovo Centro cattolico, quelli che si battono per la Famiglia, e se ne sbattono della propria?
 
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DR_PanG
view post Posted on 15/8/2007, 14:12




emm e adesso non siamo in coalizione con Mastella e con la Margherita? Sarebbe la stessa cosa...solo che con un 7-10% potremmo dettare punti fondamentali del programma...
 
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L'Avvocato del Diavolo
view post Posted on 15/8/2007, 14:14




Lo so con chi siamo adesso, e non mi piace affatto...
Forse col 7-10% potremmo dettare qualche punto di politica economica, ma credo che potremo far ben poco per i diritti civili.
 
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DR_PanG
view post Posted on 15/8/2007, 18:38




per i diritti civili ci può pensare il popolo e i suoi referendum, come è sempre stato...
 
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L'Avvocato del Diavolo
view post Posted on 16/8/2007, 17:07




Ultimamente i referendum sono stati fallimentari. Basti vedere quello del 2005 sulla fecondazione assistita...
E, ad ogni modo, i referendum sono solo abrogativi, quindi bisognerebbe comunque trovare una maggioranza in Parlamento.
 
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9 replies since 11/8/2007, 12:43   344 views
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