Massimo fini e Movimento zero

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h1de
view post Posted on 11/9/2007, 16:07




topic "raccoglitore" delle interviste e degli articoli rilasciati dal bravissimo polemista e saggista, pensatore molto particolare e unico nel suo genere

Perchè ero su quel palco

Sarebbe un grave errore pensare che la folla che ha partecipato al riuscitissimo "'V-Day", organizzato da Beppe Grillo in Piazza Maggiore a Bologna e in altre 150 città italiane, rappresenti una parte del cosiddetto "popolo di sinistra" deluso dall'operato del proprio governo.

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Così come fu un errore pensare che il milione di persone che si radunò qualche anno fa in piazza San Giovanni a Roma per protestare contro le vergognose leggi "ad personam" fosse composto esclusivamente da gente "di sinistra" (la sinistra, oggi, in piazza, mobilitando tutti gli apparati e le "truppe cammellate", è in grado di mandare, al massimo, trecentomila adepti).

Ho partecipato ad entrambe le manifestazioni, in piazza Maggiore sono intervenuto anche dal palco, insieme ad Alessandro Bergonzoni, Marco Travaglio, Sabina Guzzanti, al giudice Norberto Lenzi, oltre a Grillo che ovviamente si è riservato, con un'energia incredibile per un uomo che è vicino alla sessantina, la parte del leone, e credo di sapere di che cosa parlo.

Si tratta di un movimento trasversale, formato da una miriade di gruppi non sempre omogenei, alcuni dei quali sono venuti allo scoperto, in piazza, come quelli di Grillo, di Flores D'Arcais, dei NoTav, del mio Movimento Zero, ma il cui grosso si trova, per il momento, su Internet, ed è formato in grande prevalenza da giovani, i quali chiedono certamente il ritorno ad un minimo di decenza legale e formale (i punti qualificanti del "V-Day" erano: via gli inquisiti dal Parlamento, non più di due legislature per ogni deputato o senatore, poter votare per nominativi singoli e non solo per liste dove gli eletti sono già decisi, di fatto, dagli apparati dei partiti), ma che, nella sostanza, hanno perso ogni fiducia nei partiti in tutti i partiti, e nei loro uomini, nelle classiche categorie politiche vecchie di due secoli - liberalismo e marxismo, con i rispettivi derivati, nella destra e nella sinistra - e anche, nel profondo e magari inconsciamente, nella democrazia rappresentativa.

Lo deduco anche dal modo in cui è stato recepito il mio intervento che andava ben oltre i temi del "V-Day". Pensavo che sarebbe stato accolto gelidamente da una platea fortemente legalista (le maggiori ovazioni sono toccate a Marco Travaglio che della legalità ha fatto il suo cavallo di battaglia). Ho infatti detto che ero d'accordo con i temi del "V-Day" (figuriamoci se non lo sono, anch'io batto, da anni, sul tasto della legalità come sanno i lettori di questo giornale), ma che rischiavano di mascherare la questione di fondo che riguarda proprio l'essenza della democrazia rappresentativa. Che è un imbroglio, una truffa, "un modo, sicuramente sofisticato e raffinato, per ingannare la gente, soprattutto la povera gente, col suo consenso". E che questo non è un problema italiano, anche se certamente il nostro sistema presenta aspetti degenerativi specifici, ma di tutte le democrazie occidentali, particolarmente inquietante in un periodo storico in cui queste stesse democrazie pretendono di omologare a sè, con la propaganda ideologica, la propria economia e, se del caso, le bombe e l'intero esistente. Ma che la rivolta contro la "democrazia reale", quella che concretamente viviamo, inizi dal nostro Paese è molto interessante perchè l'Italia, nel bene e nel male, è sempre stata uno straordinario laboratorio di novità (l'ascesa della classe mercantile, che porterà alla Rivoluzione industriale che ha cambiato il nostro intero modo di vivere, inizia a Firenze e nel piacentino, il fascismo nasce qua, persino il berlusconismo, che io considero un fenomeno postmoderno - non è vero che Berlusconi imita Bush, è vero il contrario - è un fenomeno che prende il via dall'universo mediatico italiano).

Innanzitutto non si è mai capito bene cosa sia davvero la democrazia. È un animale proteiforme, mutante, cangiante, sfuggente. Lo stesso Norberto Bobbio, che pur ha dedicato a questo tema la sua lunga e laboriosa vita, scrive in un passaggio che i presupposti fondanti della democrazia sono nove, in un altro ne indica sei, in un altro ancora tre e alla fine ne dà una definizione talmente risicata da perdere qualsiasi senso. In ogni caso si può dire che la "democrazia reale" non rispetta nessuno dei presupposti che, almeno nella "vulgata", le vengono attribuiti. Prendiamone, a mo' di esempio, solo due. 1) Il voto deve essere uguale. Il voto di ogni cittadino non deve valere nè di più nè di meno di quello di qualsiasi altro. 2) Il voto deve essere libero. Deve ciè essere conseguenza di una scelta spontanea e consapevole fra opzioni effettivamente diverse. I governanti devono avere un reale consenso da parte dei governati.

Bene. Il voto non è uguale e il consenso è taroccato. Sul primo punto ha detto parole definitive la scuola elitista italiana dei primi del Novecento: Gaetano Mosca, Vilfredo Pareto, Roberto Michels. Scrive Mosca ne "La classe politica": «Cento che agiscano sempre di concerta e d'intesa gli uni con gli altri trionferanno sempre su mille presi uno a uno che non avranno alcun accordo fra di loro». Il consenso è taroccato perchè ampiamente indirizzato dai massmedia, in mano alle oligarchie economiche e politiche, che non per nulla vengono, spudoratamente, chiamati gli "strumenti del consenso". E lo stesso si può dire per tutti gli altri presunti presupposti della democrazia che Hans Kelsen, che non è un marxista nè un estremista talebano, ma un giurista liberale, considera una serie di "fictio iuris".

Nella realtà la democrazia rappresentativa non è la democrazia ma un sistema di minoranze organizzate, di oligarchie, di aristocrazie mascherate, politiche ed economiche, strettamente intrecciate fra di loro e, spesso, con le organizzazioni criminali - quando non siano criminali esse stesse - che il liberale Sartori definisce, pudicamente, "poliarchie", che schiacciano il singolo, l'uomo libero, che non accetta di sottomettersi a questi umilianti infeudamenti, cioè proprio colui di cui il pensiero liberale voleva valorizzare meriti, capacità, potenzialità e che sarebbe il cittadino ideale di una democrazia, se esistesse davvero, e invece ne diventa la vittima designata.

Del resto senza tanti discorsi teorici lo vediamo tutti, lo sentiamo tutti che noi cittadini non contiamo nulla. La nostra unica libertà è di scegliere, ogni cinque anni, legittimandola, come l'unzione del Signore legittimava il Re, da quale oligarchia preferiamo essere dominati, schiacciati, umiliati. Non siamo che sudditi. Kelsen scrive: «Si potrebbe credere che la particolare funzione dell'ideologia democratica sia quella di mantenere l'illusione della libertà». E si chiede come «una tale straordinaria scissione fra ideologia e realtà sia possibile a lungo andare».

Me lo chiedo anch'io da tempo. E ho concluso così il mio intervento: «Le democrazie (inglese, francese, americana) sono nate su bagni di sangue. Ma non accettano, nemmeno cencettualmente, di poter essere ripagate dalla stessa moneta. Anzi hanno posto, come una sorta di "norma di chiusura" per dirla con lo Zietelman, che la democrazia è il fine e la fine della Storia. Saremmo quindi tutti condannati, per l'eternità, a morire democratici. Ma la Storia non finisce qui. Finirà, con buona pace di Fukujama e di tutti i Fukujama della Terra, il giorno in cui l'ultimo uomo esalerà l'ultimo respiro. Non sarà certamente la nostra generazione, quella mia e di Beppe Grillo, non sarà questo ludico "V-Day" a cambiare le cose, ma verrà un giorno, non più tanto lontano, in cui la collera popolare abbatterà questa truffa politica, come, in passato, è avvenuto con altre». Ovazione.

http://www.gazzettino.it/VisualizzaArticol...-9-11&Pagina=12 11.09.07
 
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Antonio Grego
view post Posted on 12/9/2007, 13:00




Sono d'accordo con lui su parecchie cose.
 
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Chaos Phoenix
view post Posted on 12/9/2007, 13:29




Molto interessante.
E su certi aspetti molto veritiero,anche se non credo di concordare con l'autore sulle soluzioni.
 
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h1de
view post Posted on 12/9/2007, 15:02




Diciamo che questa è la sua linea generale di pensiero. Che poi piaccia o non piaccia è unica diciamo nel suo genere...

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Un Modello di sviluppo atroce, sfuggito dal controllo anche di chi pretende
di governarlo, ci sta schiacciando tutti, uomini e donne di ogni mondo.
Proiettandoci a una velocità sempre crescente, che la maggioranza non riesce
più a sostenere, verso un futuro orgiastico che arretra costantemente
davanti a noi - perché è lo stesso modello che lo rende irraggiungibile -
crea angoscia, depressione, nevrosi, senso di vuoto e inutilità. In
occidente questo modello paranoico è riuscito nell'impresa di far star male
anche chi sta bene (566 americani su mille fanno uso abituale di
psicofarmaci). Esportato ovunque, per la violenza dei nostri interessi e
quella, ancor più feroce, delle nostre buone intenzioni, il modello
occidentale ha disgregato popolazioni, distrutto culture, identità,
specificità, diversità, territori, tutto cercando di omologare a sé.

Il marxismo si è rivelato incapace di contenere e di sconfiggere il
capitalismo. Perché non è che una variante inefficiente dell'Industrialismo.
Capitalismo e marxismo sono due facce della stessa medaglia. Nati entrambi
in occidente, figli della Rivoluzione industriale, sono illuministi,
modernisti, progressisti, positivisti, ottimisti, materialisti,
economicisti, hanno il mito del lavoro e pensano entrambi che industria e
tecnologia produrranno una tale cornucopia di beni da far felice l'intera
umanità. Si dividono solo sul modo di produrre e di distribuire tale
ricchezza. Questa utopia bifronte ha fallito. L'Industrialismo, in qualsiasi
forma, capitalista o marxista, ha prodotto più infelicità di quanta ne abbia
eliminata. Per due secoli Capitalismo e Marxismo, apparentemente avversari,
in realtà funzionali l'uno all'altro, si sono sostenuti a vicenda come le
arcate di un ponte. Ma ora il crollo del marxismo prelude a quello del
capitalismo, non fosse altro che per eccesso di slancio.

Su questi temi fondanti però si tace o li si mistifica. Anche le critiche
apparentemente più radicali si fermano di fronte alla convinzione
indistruttibile che, comunque, quello industriale, moderno, è 'il migliore
dei mondi possibile'. Sia il capitalismo sia il marxismo, nelle loro varie
declinazioni, non sono in grado di mettere in discussione la Modernità
perché nella Modernità sono nati e si sono affermati. Danno per presupposto
ciò che deve essere invece dimostrato.
Stanchi di subire la violenza dell'attuale modello di sviluppo e il silenzio
complice o la sordità di coloro, politici ed intellettuali, che dovrebbero
farci da guida e invece ci stanno portando all'autodistruzione, in una
società che non è più capace di recepire argomenti ma solo 'coup de thèatre'
abbiamo quindi pensato, recuperando una antica tradizione, di ricorrere ad
un MANIFESTO in 11 punti che traccia le linee ideali e culturali di un
programma che intendiamo portare anche in campo politico, extraparlamentare
e parlamentare. Vogliamo passare all'azione .

Levate la testa, gente. Non lasciatevi portare al macello docili come buoi,
belanti come pecore, ciechi come struzzi che han ficcato la testa nella
sabbia. Infondo non si tratta che di riportare al centro di Noi stessi
l'uomo, relegando economia e tecnologia al ruolo marginale che loro compete.
Chi condivide in tutto o in parte lo spirito del Manifesto lo firmi. Chi
vuole collaborare anche all'azione politica, nei modi che preferisce e gli
sono più congeniali, sarà l'arcibenvenuto. Abbiamo bisogno di forze fresche,
vogliose, determinate, di uomini e donne stufi di vivere male nel "migliore
dei mondi possibili" e di farsi prendere in giro. Forza ragazzi: si passa
all'azione.

MASSIMO FINI

SPOILER (click to view)
spiegazione di ogni punto: 1- NO ALLA GLOBALIZZAZIONE...

a) Perchè la globalizzazione significa omologazione, standardizzazione, appiattimento di tutte le culture e all'interno di esse di tutti gli individui ad un unico modello. Ed è quindi contraria a quel prepotente bisogno di identità che oggi anche proprio in ragione della globalizzazione sale dalle comunità e dai singoli individui.
b) La globalizzazione, in estrema sintesi è la competizione mondiale di tutti contro tutti. Questo comporta due conseguenze. Che se in Cina pagano la gente un piatto di riso anche da noi bisognerà fare più o meno lo stesso; che se gli Stati Uniti non hanno welfare anche gli stati europei dovranno smantellare il loro; che se in Giappone per loro cultura samurai applicata alla fabbrica, gli viene voglia di lavorare 20 ore al giorno, anche in Italia - che nonostante tutto è un paese un pò più gradevole del Giappone- bisognerà fare lo stesso. Inoltre la globalizzazione se arricchisce le Nazioni impoverisce i suoi abitanti. Prendiamo l'Italia. L'Italia di oggi è complessivamente molto più ricca di quella degli anni 60 (il PIL non ha fatto altro che aumentare, la produzione idem, etc.) ma noi presi come singoli individui non siamo più ricchi, se va bene manteniamo le posizione, spesso siamo più poveri. Come mai? Perchè, essendo appunto la globalizzazione competizione, mentre noi corriamo e ci affanniamo anche gli altri paesi corrono e si affannano, per cui è come se stessimo tutti fermi. E come correre su un tapis-roulant alla rovescia. E' come nel ciclismo: se un corridore si dopa, debbono drogarsi anche tutti gli altri rovinandosi la salute. Il concetto quindi è quello di frenare, di competere di meno, in un ambito più limitato (ecco qui il riferimento alla piccole patrie e all'Europa che svilupperemo in seguito) e di ricordarci che per molte centinaia di anni il concetto che ha prevalso nell'Europa preindustriale, grazie anche alla grande influenza del pensiero di San Tommaso d'Aquino e della sua scuola, non è stato quello della competizione ma quello della cooperazione. Nel Medioevo europeo ad ogni uomo o meglio ad ogni famiglia, artigiana o contadina che fosse, doveva essere garantito il proprio spazio vitale, anche a scapito dell'efficienza produttiva collettiva.
c) La globalizzazione esaspera tutti gli aspetti negativi degenerativi e drammatici di quello che ho chiamato il "modello paranoico": subordinazione dell'uomo al meccanismo produttivo, ritmi sempre più incalzanti e insostenibili, omologazione degli stili di vita e degli stessi individui in ragione delle esigenze razionalizzatrici dell'economia e della tecnologia di mercato, perdita di identità, impossibilità di trovare un punto di equilibrio e di armonia, con i loro corollari sul piano esistenziale di angoscia, nevrosi, depressione, anomia, frustrazione, sentimento di scacco esistenziale e smarrimento del senso.
d) La globalizzazione distrugge letteralmente le realtà e le popolazioni del Terzo Mondo, costringendole ad uscire dalle economie di sussistenza (autoproduzione e autoconsumo, sostanzialmente) su cui avevano vissuto e a volte prosperato per secoli e millenni, per inserirsi nel mercato mondiale dove, mentre perdono a loro volta, omologandosi, la propria identità collettiva così come l'uomo occidentale perde quella individuale, sono inevitabilmente soccombenti e da povere che erano (secondo i nostri metri quantitativi naturalmente) diventano miserabili e vengono spesso portati alla fame innescando quelle emigrazioni bibliche che tanto ci spaventano e che non sono che un pallido fantasma di ciò che ci aspetta se la mondializzazione economica continuerà imperterrita la sua marcia trionfale.
Come si combatte realisticamente e politicamente la globalizzazione?
La risposta la daremo quando parleremo dei concetti di autarchia, piccole Patrie ed Europa.


2- NO AL CAPITALISMO ED AL MARXISMO, DUE FACCE DELLA STESSA MEDAGLIA, L'INDUSTRIALISMO


Figli entrambi della Rivoluzione industriale, liberalismo e marxismo, nelle loro varie declinazioni, sono in realtà due facce della stessa medaglia. Sono entrambi modernisti, illuministi, progressisti, ottimisti, razionalisti, materialisti, anti-tradizionalisti, economicisti, entrambi hanno il mito del lavoro.
Sono due industrialismi convinti che scienza e tecnica produrranno una tale cornucopia di beni da rendere felici tutti gli uomini o quasi.
Ed è ovvio che destra e sinistra, liberali e marxisti, concordino e siano irriducibili su questo punto fondante, che legittima l’intera modernità insieme alle sue dottrine politiche.
Questa utopia bifronte ha fallito noi siamo su un treno che và ad 800 all’ora e certamente dare una più equa sistemazione dei viaggiatori sballottati dalla velocità del treno ha ancora un qualche senso (e quindi in qualche sensi conservano le antiche categorie di dx e sx) ma le domande di fondo sono diventate altre:
a) Dove sta andando il treno?
b) I viaggiatori e coloro che stanno sulla locomotiva hanno una qualche possibilità di dirigerlo o il treno è incardinato inesorabilmente si binari su cui è stato messo due secoli e mezzo fa.
c) E, soprattutto, abbiamo preso il treno giusto o la missilistica locomotiva che tanto affascinò, anche giustamente, i nostri progenitori nel 700 e 800 ci sta portando alla catastrofe oltre a farci vivere già ora un’esistenza disumana in cui l’uomo è subordinato alle sue esigenze invece che essere il guidatore del treno?
d) Siamo dunque destinati a morire nella fogna del “migliore dei mondi possibili” e a crederci liberi solo perché possiamo scegliere fra diverse marche di frigorifero.


3- NO ALLA MISTICA DEL LAVORO, DI DERIVAZIONE TANTO
CAPITALISTA CHE MARXISTA


Il lavoro come valore nasce con la Rivoluzione industriale ed è assunto come tale sia dai capitalisti che dai marxisti. In precedenza il lavoro non è un valore, tanto è vero che è nobile chi non lavora e artigiani e contadini lavorano solo per quanto gli basta. Il resto è vita. Manca quasi completamente nell’Europa pre-industriale il concetto di profitto, nel senso che non si è disposti a sacrificare il proprio tempo per accumulare ricchezza. Perché il vero valore è il tempo e come diceva Benjamin Franklin è “il tessuto della vita”. Quello che si propone Movimentozero è di restituire all’uomo buona parte del suo tempo perché ne faccia ciò che desidera, tempo che oggi gli è quasi totalmente sottratto dal meccanismo produzione-consumo, sia quando è nella condizione di produttore che di consumatore. Detto con uno slogan quello che ci proponiamo come linea di tendenza è: meno lavoro, più tempo. Non è una operazione utopistica e d impossibile si può sperimentare concretamente anche oggi. Si tratta di fare una inversione concettuale. Facciamo un’esempio estremo. In tutte le società sviluppate i disoccupati possono vivere, sia pur modestamente, avendo di che cibarsi di che vestirsi e di che abitare. La loro frustrazione è dovuta al fatto che non possono attingere ai beni della società opulenta. Ma se invece di nuotare contro la corrente la seguissero, se cioè invertissero psicologicamente il loro rapporto con ciò che li circonda, si accorgerebbero che hanno in gran quantità proprio quel bene prezioso del tempo che manca a tutti coloro che sono coinvolti nei ritmi frenetici del lavoro. Poter vivere senza lavorare – che, per restare all’esempio fatto, è la condizione dei disoccupati delle nostre società - è stata sempre un’aspirazione dell’uomo. Finchè ha avuto una testa per pensare. Siccome la globalizzazione porterà ad un indebolimento economico di buona parte della popolazione, mettersi in questa predisposizione d’animo è, in un certo senso, un “portarsi avanti”, cioè un’assumere come scelta quella che altrimenti sarebbe sentita come una dura e insopportabile necessità.


4- NO ALLA DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA

La democrazia rappresentativa non è la democrazia. In quanto in virtù del sistema della delega costituisce un sistema di minoranze organizzate, di oligarchie, i partiti ed i loro apparati che opprimono l'individuo singolo, libero, che rifiuta queste appartenenze questi umilianti infeudamenti, e che sarebbe il cittadino ideale di una democrazia, se esistesse davvero, e che ne diventa invece la vittima designata. I partiti che non erano contemplati nelle concezioni dei teorici della democrazia e, fin al 1920 non apparivano in nessuna costituzione liberaldemocratica, non sono, come suol dirsi, l'essenza della democrazia, ma la sua fine. Sono essi che decidono non solo i candidati ma anche gli eletti, nel sistema proporzionale facendo blocco su questo o quel nome, mentre il voto del cittadino libero, proprio perchè tale si disperde, nel maggioritario perchè gli eletti vengono direttamente calati dall'alto. Al cittadino non resta che la scelta dell'oligarchia dalla quale prteferisce essere dominato e represso. Gli stessi teorici moderni della democrazia, da Bobbio a Sartori, ammettono che si tratta in realtà di aristocrazie mascherate. Solo che rispetto delle aristocrazie storiche non hanno né le qualità né gli obblighi, ma solo i privilegi. L'oligarca democratico non ha alcuna qualità prepolitica. Si potrebbe anche dire che la sua solo qualità è di non averne alcuna. Ma aldilà di queste considerazioni teoriche lo vediamo e lo sentiamo tutti che noi cittadini non contiamo assolutamente nulla. E' venuta l'ora di smascherare questa finzione e, possibilmente, di abbatterla. Come dice Voltaire non esiste unicamente la tirannide di uno solo ma anche, come egli la chiama, "la tirannide dei parecchi". Noi viviamo in una "tirannide dei parecchi". E fin dai tempi più antichi (il monumento ai tirannicidi e del 480 a. C.) è considerato moralmente lecito uccidere il tiranno.

5- NO ALLE OLIGARCHIE POLITICHE ED ECONOMICHE

Ormai è divenuta consuetudine associare la democrazia alla libertà, ma non è così. La democrazia rappresentativa è, in realtà, un sistema di minoranze organizzate, di oligarchie, politiche ed economiche strettamente intrecciate tra di loro e anche, eventualmente, con quelle criminali. Anche se quasi tutti i regimi sono stati oligarchici, un sistema oligarchico che si presenta sotto le forme della democrazia non è la stessa cosa di un sistema dichiaratamente aristocratico e ha pesanti conseguenze sul tessuto sociale, sul nostro modo di essere, sulla nostra vita. La classe politica democratica è formata da persone che hanno come elemento di distinzione, unicamente e tautologicamente, quello di fare politica. La loro legittimazione è tutta interna al meccanismo che le ha prodotte. L'oligarca democratico è un uomo senza qualità. La sua qualità è di non averne alcuna. In queste concentrazioni vi si ritrovano i mediocri, i deboli che però uniti avranno sempre la meglio su chi agisce individualmente e liberamente. Nel solco del pensiero liberale si realizza l'estremo paradosso, proprio da chi voleva difendere i "diritti naturali" dell'individuo, valorizzandone capacità, meriti, potenzialità, si finisce invece per mortificare proprio il singolo, l'uomo libero, colui che rifiuta appartenenze e sottomissioni, divenendo così da cittadino ideale di una democrazia la vittima designata.

6- SI ALL’AUTODETERMINAZIONE DEI POPOLI

Alla conferenza di Helsinki del 1975 è stato firmato dalla maggioranza degli Stati del mondo un documento che sancisce il diritto di ogni popolo a separarsi da uno Stato in cui non si riconosce più. Questo diritto in realtà , mentre è stato giustamente riconosciuto a popoli come quello croato o sloveno, viene negato a tutti quegli altri che non hanno protettori potenti, dai curdi ai tibetani. Ora un diritto è tale se appartiene a tutti, se invece riguarda solo alcuni è soperchieria del potere, che distingue tra figli e figliastri. Noi siamo per il diritto all’autodeterminazione di tutti i popoli.

7- SI ALLE PICCOLE PATRIE

Questo punto si ricollega a quello precedente. I movimenti localisti sono per definizione antitetici a quella globalizzazione che noi combattiamo perché è uno strumento di omologazione, di standardizzazione e di privazione dell’identità. Inoltre il prevalere delle piccole patrie o, se si preferisce, dei localismi permetterebbe quella democrazia diretta di cui parliamo al punto 4 e che è l’unica forma di democrazia reale dove il cittadino partecipa in prima persona alle decisioni che lo riguardano. L’espropriazione del cittadino nelle democrazie rappresentative non è mitigata dall’istituto del referendum perché in Stati troppo grandi e complessi il voto del cittadino finisce fatalmente per essere manipolato dalle oligarchie del potere.


8- SI AL RITORNO GRADUALE, LIMITATO, RAGIONATO A FORME DI AUTOPRODUZIONE E AUTOCONSUMO


La sola possibilità reale di contrastare la globalizzazione è quella di bloccare il libero mercato mondiale che passa sul massacro delle popolazioni del primo e del terzo mondo. Bisogna quindi ritornare in modo graduale, limitato e ragionato a forme di autoproduzione e autoconsumo che passano necessariamente per un recupero della terra e un ridimensionamento drastico degli apparati industriali e virtuali. Ogni forma di localismo che non preveda questo ritorno si riduce a semplici aspetti folklorici (tipo il recupero dei dialetti o il salvataggio di qualche produzione locale). Non possiamo ritrovare né un’identità né un equilibrio né un’armonia perduta se siamo tutti battezzati in un mare di Coca-Cola.

10- SI AL DIRITTO DEI POPOLI DI FILARSI DA SE’ LA PROPRIA STORIA, SENZA PELOSE SUPERVISIONI


Ogni popolo ha diritto di decidere da sé il proprio destino nelle forme che più ritiene opportune e, se del caso, anche di farsi la guerra in santa pace. Se, per esempio, in Afghanistan governavano i talebani, questa era una storia afgana che, se non avesse funzionato, sarebbero stati gli stessi afgani a dover eliminare, non truppe straniere che vengono da diecimila chilometri di distanza sulla base di culture, schemi mentali, valori che nulla hanno a che vedere con la storia di quel Paese. Questo vale anche per l’Iraq e per tutti quei Paesi in cui l’Occidente, con la scusa della “cultura superiore” e “diritti umani”, è andato a ficcare il naso con la violenza, imponendo in realtà, oltre che una cultura estranea, i propri interessi materiali.

11- SI ALLA DISOBBEDIENZA CIVILE GLOBALE SE DALL’ALTO NON SI RICONOSCE PIU’ L’INTANGIBILITA’ DELLA SOVRANITA’ DEGLI STATI, ALLORA E’ UN DIRITTO DI CIASCUNO DI NON RICONOSCERSI PIU’ IN UNO STATO

Con l’attacco alla Jugoslavia ed in seguito all’Iraq s’è abbattuto il principio di diritto internazionale, fino ad allora mai messo in discussione da nessuno, della non ingerenza negli affari interni di uno Stato sovrano. Ciò è stato fatto in nome di principi etici che si dichiarano universali, ma se esistono principi etici universali superiori alla sovranità nazionale io non ho più il dovere morale di schierarmi con il mio Paese (Right or wrong, my Country) se ritengo che calpesti questi diritti. Insomma con l’abbattimento dell’intangibilità della sovranità nazionale è stato abbattuta anche l’appartenenza nazionale. E quindi noi abbiamo il diritto di schierarci con chi ci pare e piace e perciò di innescare forme di lotta non violenta contro il Paese cui formalmente apparteniamo ed eventualmente in favore di altre culture e di altre civiltà.



MASSIMO FINI
 
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h1de
view post Posted on 23/9/2007, 01:53




DI MASSIMO FINI
Il Gazzettino


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Più impressionante e significativa della stessa manifestazione di Beppe Grillo è stata la reazione del mondo politico e di quella sua dependance che è il sistema televisivo.

Prima si è cercato di ignorare il fenomeno, di nasconderlo, di oscurarlo. il TG1 ha dato una brevissima notizia, senza immagini, del "V-Day", il TG5 è riuscito nell'impresa di far apparire semivuota una piazza che era invece gremita e debordava nelle vie circostanti. Poi, di fronte alll'evidenza, si è passati alla demonizzazione del comico genovese. Un po' la stessa tattica seguita con la Lega Nord che era anch'essa, almeno ai suoi inizi, un movimento antipartiti. Anche se questa volta le cose, data l'accelerazione stratosferica che sta avendo il nostro tempo, sono andate molto più velocemente.

Grillo è stato bollato, in modo bipartisan, come fenomeno da baraccone, populista, qualunquista, fautore di una "deriva fascista". Prodi, definito scherzosamente dal comico "Valium" o "Alzheimer", ha ricevuto la solidarietà di tutti i partiti, e il suo linguaggio è stato definito di "sconcertante immoralità" (Sandro Bondi), come se gli uomini politici in questi ultimi anni non ci avessero abituati a ben di peggio, fuori e dentro il Parlamento tanto da subire, proprio recentemente, un duro richiamo dalla Corte di Cassazione nell'ambito di una sentanza che si occupava del turpiloquio politico.

Anche il presidente Napolitano ha sentito il bisogno di scendere in campo (definendo "pericoloso un clima in cui i partiti vengono messi indiscriminatamente sotto accusa"), in una contesa che non lo riguarda per nulla, se non per il fatto di essere, come Capo dello Stato, non solo il principe dei privilegiati ma perchè gode di questi privilegi da epoca immemorabile non avendo mai fatto altro che il parlamentare e non avendo lavorato un solo giorno in vita sua.

Ma l'intervento più grave è stato quello del direttore del TG2, Mazza, che con un linguaggio circonvoluto e allusivo nella forma ma chiaro nella sostanza ha sostenuto che Grillo eccita il terrorismo e che se domani qualcuno attenterà a uno dei suoi bersagli polemici la responsabilità morale ricadrà su di lui. E' una minaccia inaccettabile, squadrista, perchè tende a rendere criminale e impossibile ogni critica al sistema dei partiti che, esca dal più scontato, banale e innocuo "politically correct". Inoltre innesca un circolo vizioso e perverso perchè se domani dovesse accadere qualcosa a Grillo potrebbe essere addebitato a Mazza.

Queste reazioni scomposte dicono una cosa sola: che la classe politica si sente tremare la terra sotto i piedi e sa di avere la coda di paglia. E ne ha ben donde. In questi anni gli avvertimenti ci sono stati, ma li ha sistematicamente ignorati. Nel 1992-94 le inchieste di Mani Pulite ottennero un grande consenso popolare perchè i cittadini erano stufi di essere taglieggiati, angariati, umiliati dai partiti e dai loro apparati. Anche se ci furono delle strumentalizzazioni quelli che gettarono le monetine a Craxi o che inseguirono Gianni De Michelis per le calli di Venezia non erano solo "comunisti", era anche gente che non ne poteva più in particolare dell'arroganza dei socialisti che erano arrivati a prepotenze da Don Rodrigo, a "torre le donne altrui".

Ma bastò poco alla partitocrazia per riprendere in mano la situazione. Scese in campo, presentandosi come "uomo nuovo", uno dei principali sodali di Craxi, Silvio Berlusconi, la Lega fu inglobata e innocuizzata, i cittadini vennero convinti che i veri colpevoli erano i giudici e i ladri di regime le loro vittime. Più tardi vennero i girotondi. Cosa chiedevano i "girotondini" (un milione di persone a piazza San Giovanni a Roma)? Protestando contro le leggi "ad personam" chiedevano che fosse rispettato almeno il principio elementare dell'uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge senza la quale la liberaldemocrazia, che già rinuncia all'uguaglianza sociale, non si giustifica più. Ma anche i "girotondini", le cui manifestazioni erano assolutamente pacifiche, furono irrisi e sbeffeggiati, da destra e da sinistra. Ma intanto la rabbia, benchè repressa, o forse proprio perchè repressa, montava in modo sordo e sotterraneo. Nel 2004 pubblicai un libro, "Sudditi-Manifesto contro la democrazia", in cui denunciavo, argomentando, che la liberaldemocrazia, la "democrazia reale", quella che concretamente viviamo, non è la democrazia ma un regime di oligarchie. Vendette più di 100 mila copie, non poche per un saggio teorico. Ma tre anni dopo "La Casta" di quel grande cronista che è Gian Antonio Stella, che puntualizza con casi concreti ciò che io avevo denunciato teoricamente, ha venduto un milione di copie.

Adesso è arrivato il "grillismo". È probabile che il sistema, che ha molti mezzi per farlo, riuscirà ad inglobare e ammortizzare anche questo fenomeno. Ma se il sistema politico non cambierà strada - e non la cambierà, perchè non può farlo dato che la democrazia rappresentativa non è che l'involucro legittimante del vero nocciolo della questione: un modello di sviluppo paranoico che ci stressa tutti e che è la vera, anche se spesso inconscia, origine della rabbia popolare - un giorno o l'altro salterà per aria come il coperchio di una pentola tenuto troppo a lungo sotto pressione.

Fonte: www.ilgazzettino.it
22.09.07
 
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