Il socialismo siciliano e meridionale secondo Pippo Fava

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almylai
view post Posted on 17/10/2007, 12:42




Giuseppe Fava, fondatore dei Siciliani, ucciso dalla mafia a Catania il 5 gennaio del 1984


da "I Siciliani", aprile 1983

Per tradizione storica il partito socialista rappresenta la forza politica che ha avuto un peso determinante nella evoluzione siciliana. C'è anche una profonda ragione sociale che diventa anche un fatto culturale. Negli ultimi centocinquant'anni l'isola infatti è stata divisa, spesso insanguinata dallo scontro fra due forze totalmente opposte che nascevano proprio dalla profondità della società meridionale come era stata strutturata dalla storia: da una parte le casate nobiliari, i grandi proprietari terrieri che rappresentavano appena il dieci per cento della popolazione e tuttavia possedevano quasi il novanta per cento di ogni ricchezza immobiliare, detenevano la totalità delle cariche, amministravano i pubblici uffici, dalla giustizia al fisco; e dall'altra il poverissimo popolo siciliano, le masse oscure degli operai, manovali, braccianti, contadini, autentici servi della gleba, i quali non possedevano niente, spesso non sapevano nemmeno leggere e scrivere.
E in realtà la società siciliana degli ultimi centocinquant'anni è stata sconvolta periodicamente da scontri di inaudita violenza e ferocia che avevano la tragica vastità dell'evento storico e che tuttavia la storia d'Europa ha relegato ai suoi margini. Questa isola lontana, rapinosa e selvaggia, arcana e terribile che il visitatore sfiorava appena lungo le coste e il cui interno era un'anima oscura dove nessuno osava penetrare. Chi ha mai saputo effettivamente valutare, sotto il profilo storico, le rivolte dei contadini, esplosioni di collettiva disperazione umana e le immediate repressioni dei grandi padroni ai quali lo Stato (una volta a Bronte persino rappresentato da Garibaldi) prestava le sue truppe per restaurazioni sanguinose. Autentiche ondate ricorrenti nella storia: le moltitudini contadine armate di falci, roncole, bastoni, tridenti che sembravano sommergere di colpo la società, poi lo sgomento, lo scoramento di chi non aveva nemmeno la minima cultura sufficiente per governare il proprio destino, la dispersione, la fuga. E dal riflusso di queste ondate che si lasciavano dietro corpi umani fucilati in mezzo alle piazze, ombre di impiccati, riemergeva l'immobilità degli antichi padroni, il nobile marchese-principe-barone, conte-duca, il grande feudatario, il prete.
In questo contesto i fasci siciliani rappresentarono un avvenimento di cui forse solo ora si sta cercando di riconoscere la grande forza umana e morale, certamente la prima grande rivoluzione proletaria d'Europa con la quale i poveri tentarono di proporre un tipo di società più giusta, diritti dell'uomo che la rivoluzione francese avevano intravisto e che la restaurazione durata tutto un secolo aveva cancellato. Fu un grande evento morale e politico, un grido che avrebbe dovuto far tremare l'Europa e che si spense nel Meridione d'Italia. E fu anche per la ferocia della repressione una grande tragedia popolare di cui quasi nessuno si accorse.
Ecco, la funzione storica del socialismo nel Sud, comincia probabilmente ad emergere in quel tempo. In una società così profondamente divisa e lacerata, senza possibilità di mediazione, senza capacità di soluzione che non fosse la soppressione degli uni o degli altri, i socialisti si posero come unica proposta storica possibile. In realtà, fra le due forze contrapposte, stava crescendo, o meglio stava assumendo fisionomia, un terzo strato sociale: la piccola borghesia delle città, gli artigiani che sapevano leggere un giornale, gli studenti, gli impiegati, i piccoli coltivatori che riuscivano finalmente a strappare al padrone un primo lembo di terra, i maestri elementari, i piccoli professionisti, i muratori, fabbri, falegnami i quali non sopportavano più il prepotere dei grandi padroni e nemmeno però desideravano che la trasformazione accadesse con una rivolta che fosse anche una strage. Era un grande ceto emergente, composto da una moltitudine di cittadini senza omogeneità culturale o sociale e tuttavia accomunati da un dato fondamentale, cioè avevano già fatto una prima conquista e non la potevano perdere, possedevano già qualcosa da difendere, fosse soltanto il loro lavoro, la capacità produttiva, la piccola clientela, le speranze culturali. Se fossero stati costretti a scegliere, avrebbero scelto la rivoluzione. Ma sapevano altresì che essa sarebbe finita con un inutile massacro ed una spaventosa sconfitta.
Il socialismo che nasce nel Meridione è dunque proletario certamente, ma anche astuto, abbastanza acculturato, sicuramente animato da grandi ideali umani ma senza ferocia, aggressivo e prudente, più disposto alla ragione, ama più il grande comizio popolare che le barricate. Gli anni di De Felice in Sicilia e nel Meridione rappresentano questo momento di crescita storica. Fra due grandi istanze politiche, l'una troppo cieca ancora e senza struttura, l'altra troppo gelida e crudele, il socialismo si pone come unica possibilità di soluzione politica.
Gli eventi storici spezzano questo sogno: la prima guerra mondiale, gli anni del fascismo, la seconda guerra mondiale, gli anni del dopoguerra che per qualche anno ristabiliscono crudamente la contrapposizione antica: i grandi latifondisti e i grandi mafiosi da una parte, la disperata miseria popolare dall'altra. E' in questi anni che i socialisti smarriscono fatalmente la loro identità, sopraffatti dalla violenza della lotta e dalla personalità dei contendenti e dalla loro stessa immutata violenza: da una parte i comunisti che hanno il fascino della grande rivoluzione definitiva e somatizzano qualsiasi alleato o compagno, e dall'altra parte semplicemente soltanto gli anticomunisti, cioè la democrazia cristiana che non ha programmi ma ha saputo scegliere lo slogan vincente.
Presi nel mezzo i socialisti non hanno la forza, o più semplicemente il coraggio storico di proporsi agli italiani come terza soluzione, quella appunto della ragione, che sia cioè sempre giustizia nella libertà. Forse non hanno nemmeno in quel momento un leader storico che sappia lucidamente interpretare questo grande ideale di evoluzione e indipendenza. Finiscono schiacciati dall'una parte e dall'altra, prima dagli uni poi dagli altri. Siamo ai nostri giorni cioè ad un altro momento storico perfetto per l'ideale socialista. La lotta è dura e difficile come sempre, quando si tratta di andare all'assalto per conquistare cime perdute. Molti dovranno cadere (politicamente) per strada. Bisogna avere coraggio per pagare i prezzi necessari alla storia.
 
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almylai
view post Posted on 17/10/2007, 13:24





Nel nome del padre
"Una volta mi spiegarono che ciò che è terribile non è morire. E’ finire. Rassegnarsi, tacere, parlar d’altro. Noi, non lo abbiamo fatto. E’ questo che non ci hanno perdonato. Dicevano: la paura li travolgerà. E se non sarà la paura sarà il rancore a perderli, la loro giovane collera. Non fu così. Il giornale andò in macchina dieci giorni dopo la tua morte. Solo, un baffo sotto la testata, accanto al tuo nome. Non più direttore: fondatore."
(Claudio Fava, figlio di Pippo, parlamentare europeo gruppo PSE)
 
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