http://www.zmag.org/Italy/albert-wsf3.htmL'economia partecipativaPresentazione al ciclo di seminari "Vita dopo il capitalismo", Porto Alegre 2003
Michael Albert(1)
.Parte PrimaPrima di tutto, come tutti voi detesto il capitalismo. Non voglio un sistema economico in cui Bill Gates abbia la stessa ricchezza dell'intera Norvegia. In cui i senzatetto dormano sotto i ponti e gli amministratori delegati vivano in dimore lussuose. Non voglio che le persone si derubino a vicenda, ignorando il benessere sociale, facendosi concorrenza per poche briciole. Non voglio una corsa al successo in cui la maggior parte della gente perda ed i più forti e spietati siano i vincitori. Non voglio la dittatura aziendale in cui la maggior parte delle persone non ha dignità, influenza, potere e in alcuni casi neppure cibo. Non voglio i mercati o la pianificazione centralizzata. Non voglio la schiavitù del salario, divisioni di classe e dominio di classe.
Non voglio un sistema economico che produce persone come Bush e Rumsfeld; persone con un potere smisurato che credono che gli afgani siano sacrificabili, che gli iracheni siano sacrificabili, che i palestinesi siano sacrificabili, che i coreani siano sacrificabili, che i venezuelani, gli argentini o i brasiliani siano sacrificabili, che gli abitanti del Bronx o di Watts o in realtà chiunque non appartenga alla classe dominante o al gruppo d'interesse dei Bush e dei Rumsfeld sia sacrificabile. Ciò che è sacrificabile è il capitalismo. E siamo noi, con altri milioni di persone, che dobbiamo rimuoverlo dalla storia.
Ma, se non vogliamo il capitalismo, con cosa vogliamo sostituirlo? Se crediamo che un altro mondo è possibile, che un mondo migliore è possibile, quali sono alcune delle sue caratteristiche?
Anziché lasciare che alcune persone pasteggino a caviale e viaggino sui loro jet privati ed altre si nutrano dalla spazzatura e vivano sotto i ponti, vogliamo un'equa distribuzione delle risorse e delle circostanze individuali.
Invece delle gerarchie di potere, in cui i proprietari sono in grado di far spostare enormi industrie lasciando intere regioni e popolazioni nella miseria; in cui manager e colletti bianchi possono persino controllare quando i lavoratori vanno al bagno e plasmare le nostre vite; in cui l'80% della popolazione - la classe lavoratrice - non ha praticamente alcuna influenza sulle proprie condizioni economiche, né sul tipo né sulla quantità di lavoro, né sul prodotto del lavoro né su quando si lavora; invece di tutto questo, vogliamo una società senza classi e meccanismi decisionali autogestiti. Vogliamo che le persone influiscano sulle decisioni nella misura in cui ne sono influenzate.
Anziché un sistema allocativo concorrenziale o autoritario, che espanda i profitti e il potere delle classi dominanti, vogliamo un sistema allocativo autogestito e cooperativo, che promuova il benessere sociale, lo sviluppo e la giustizia.
L'economia partecipativa è un'alternativa economica al capitalismo, ma anche a ciò che in Russia, Cina e in altri paesi è stato opportunisticamente chiamato socialismo.
L'economia partecipativa rigetta l'affermazione grottesca di Margaret Thatcher secondo cui: "Non esistono alternative". La Thatcher voleva farci credere che la sofferenza, la povertà e le deprivazioni siano inevitabili come la forza di gravità, che siano un fatto della vita. Ma questa è una menzogna.
L'alternativa economica chiamata economia partecipativa, o parecon in breve, è costruita attorno a quattro valori chiave, e ricorre a quattro istituzioni fondamentali per soddisfare questi valori.
Il primo valore è la Solidarietà. I sistemi economici influiscono sul modo i cui le persone interagiscono, sugli atteggiamenti che le persone hanno le une nei confronti delle altre.
Il capitalismo è un gioco a somma zero in cui l'unico modo per farsi strada è calpestare gli altri. Bisogna ignorare le sofferenze di coloro che rimangono indietro, oppure letteralmente calpesarli, spingendoli ancora più in basso. Nel capitalismo, diceva un famoso manager di una squadra di baseball chiamata Yankees, "i buoni finiscono ultimi"; il che è in realtà una critica terribile degli scambi di mercato. La mia versione dello stesso pensiero è che "la spazzatura si accumula". Ne sono testimoni, ancora una volta, i nostri leader esaltati.
L'economia partecipativa, o parecon, è invece intrinsecamente un'economia della solidarietà. Le sue istituzioni di produzione, consumo e allocazione non distruggono né ostacolano la reciprocità e la simpatia, spingendo invece anche le persone antisociali a tener conto del benessere altrui. In una parecon, per farti strada, sei indotto a comportarti in maniera solidale.
E questo primo valore di parecon è del tutto incontroverso. Solo uno psicopatico sosterrebbe che, a parità di condizioni, un sistema economico è migliore se produce ostilità e antisocialità. Chiunque abbia un minimo di buon senso sarà d'accordo che, a parità di condizioni, un sistema economico è migliore se produce solidarietà. Abbiamo quindi il nostro primo valore: la solidarietà.
(1):
Michael Albert (1947),
una delle voci più autorevoli della sinistra radicale americana e del movimento no-global, è co-fondatore della casa editrice South End Press e della rivista online “Z Magazine”.