Per i giovani e le donne il lavoro è sempre più atipico

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L'Avvocato del Diavolo
view post Posted on 1/12/2007, 10:20




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Isfol: per i giovani e le donne il lavoro è sempre più atipico
di Chiara Conti

In Italia per giovani e donne l'assunzione avviene ancora per lo più con contratti a termine. In particolare, questa tipologia contrattuale, - in cui rientrano tutte le fattispecie caratterizzate da un rapporto di lavoro subordinato non permanente, quindi non solo il contratto a tempo determinato, ma anche il contratto d'inserimento, di formazione e lavoro ecc. - riguarda quasi 10 persone su 100, che diventano 24 tra i giovani, 12 tra i residenti nel Mezzogiorno e 13 ogni 100 relativamente alle donne occupate. Più contenuta la quota dei collaboratori, pari complessivamente al 5,7%, limitatamente ai giovani pari all'8,4%, nel Sud pari a poco meno del 5,4 % e pari all'8% per le donne (si veda la tabella 1.B allegata). E' quanto emerge dall'indagine Isfol Plus sul lavoro atipico in Italia, realizzata nella seconda metà del 2006 tramite interviste telefoniche a un campione di oltre 40mila persone e commissionata dalla Direzione generale mercato del lavoro del ministero del Lavoro, con il contributo del Fondo sociale europeo (i dati sono allineati a quelli Istat).

«Le dinamiche dell'attuale mercato del lavoro, in cui forma e sostanza non sempre coincidono, rendono spesso gli indicatori ordinari di occupazione e disoccupazione, basati sulla stima meramente formale dei singoli istituti contrattuali, non sufficienti a valutare la qualità del mercato del lavoro in tutta la sua complessità. Di qui questo studio che invece propone nuovi indicatori capaci di far emergere sia la componente atipica dell'occupazione che l'uso improprio delle forme di lavoro flessibili», afferma Emiliano Mandrone, responsabile dell'indagine Isfol Plus.

I dati riportati (nella tabella 1), a riprova, rappresentano lo scenario occupazionale secondo le diverse tipologie contrattuali, ma non sono in grado di rendere esaustiva l'analisi del fenomeno: «Non tengono conto del cosiddetto "falso positivo", ossia le posizioni di chi formalmente appartiene ad un aggregato lavorativo, ma di fatto poi svolge un'attività in modo diverso da quanto previsto dall'istituto contrattuale utilizzato. – prosegue il ricercatore dell'Isfol - Sono molteplici, infatti, i casi in cui la forma contrattuale e la natura effettiva dell'occupazione svolta non coincidono. Un caso emblematico è quello dei finti collaboratori: se formalmente rientrano nel lavoro autonomo, spesso svolgono mansioni e prestazioni sostanzialmente identiche a quelle di un dipendente». Può essere il caso, ad esempio, di una segreteria o di un archivista a cui si è richiesto di aprire la partita Iva, quando invece svolge un'attività con nulla o scarsa professionalità sotto la guida di qualcuno che indica volta per volta gli strumenti da utilizzare e le modalità. Senz'altro il dato sui "falsi collaboratori" e il relativo abuso della forma contrattuale del co.co.co, fra i lavori atipici è quello meno tollerabile, anche perché si tratta di soggetti che nella maggior parte dei casi
dovrebbero essere assunti con contratti a tempo indeterminato. Inoltre, un'altra ipotesi di possibile "falso positivo" è il caso del part-time, che potrebbe essere sia una scelta volontaria (di solito femminile, per conciliare vita lavorativa e familiare) sia non volontaria (e come tale potrebbe celare una condizione di sottooccupazione). La ricerca rivela che solo il 50% degli uomini dichiara volontario il proprio part-time, incidenza che passa al 70% per le donne.

Al tempo stesso, fatte queste premesse, non deve trarre in inganno il risultato relativo ai contratti a tempo indeterminato: in totale gli occupati con la forma di contratto più stabile sono il 63%, una cifra che a prima vista sembrerebbe significativa. Ma, aggiunge Mandrone, «Si tratta di un dato illusorio, in quanto il livello medio è frutto di una composizione che vede i giovani molto al di sotto di questa media, quasi 10 punti percentuali in meno (53%), senza contare che nel 63% rientra soprattutto chi appartiene a generazioni passate». Invece, analizzando ancora la tabella e sempre in merito a questo tipo di contratto, i residenti nel Mezzogiorno sono leggermente sotto (58,25%), mentre le donne sono sostanzialmente in media (63%).

Ma tutta questa flessibilità è giustificata da esigenze produttive? Il 28% degli intervistati ritiene che l'attuale contratto a termine sia il preludio ad un trasformazione in un contratto a tempo indeterminato mentre il 24% non crede ci siano motivazioni particolari. La restante metà del campione indica come prevalenti le seguenti motivazioni: la stagionalità dell'attività o i picchi di produzione (17%), il legame con una commessa o un progetto lavorativo specifico (11%), la sostituzione di personale (10%) e la necessità di un periodo di pratica e specializzazione professionale (7%). Di conseguenza, appare alta la percezione di una forma contrattuale inopportuna rispetto alla mansione svolta e alle reali necessità dell'azienda, vale a dire, oltre la metà degli intervistati reputa che la natura temporanea del proprio contratto non sia dettata da reali esigenze produttive.

In conclusione, dunque, quanto è atipico il lavoro italiano se considerato al netto dei possibili "falsi positivi"? Sono quasi 3,5 milioni (cioè il 15,3% dell'occupazione) gli individui coinvolti in forme di lavoro atipiche (che includono i dipendenti a termine – compresi gli apprendisti - e i parasubordinati). A questa atipicità base va aggiunta, secondo alcuni analisti, la quota di part-time involontari, pari 2,6% dell'occupazione.
 
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