| La misura del Delfino
• da La Repubblica del 3 marzo 2008, pag. 1
di Sandro Viola
Com'è lineare, priva di incertezze e complicazioni, la politica in Russia. Se Putin dice di votare il suo partito, Russia Unita, due elettori su tre corrono a votarlo. E se dice di votare come suo successore al Cremlino Dmitrij Medvedev, il risultato non cambia.
Alle elezioni parlamentari del dicembre scorso Russia Unita aveva raccolto il 65 per cento, e il giovane Medvedev è asceso ieri sera alla presidenza con un risultato che - a computo non ancora concluso - sfiora il 66 per cento dei voti. Il metodo elettorale brevettato da Vladimir Putin funziona dunque come un orologio di gran marca. Non sbaglia un voto.
Tra l'altro, i calcoli elettorali erano stavolta più complicati, e il compito degli scrutatori molto più delicato, perché la vittoria di Medvedev non poteva oltrepassare un certo limite.
Il Delfino doveva infatti vincere largamente, ma non poteva certo raggiungere un risultato superiore a quel 71,3 per cento che Putin ottenne alle presidenziali del 2004. Sarebbe stato un atto di lesa maestà. Un risultato che avrebbe potuto mettere in discussione la grande popolarità di Putin, far calare un'ombra sui futuri rapporti tra il nuovo e l'ex presidente, e imprimere una scossa pericolosa alla saldezza del regime, già indebolita dagli attacchi che i vari potentati sorti in questi anni attorno a Putin e alle ricchezze russe, s'erano lanciati nei mesi scorsi attorno al problema della successione.
Ma niente paura, il metodo elettorale Putin ha funzionato ancora una volta perfettamente. E infatti le televisioni del regime ne tessono l'elogio. Sono state elezioni libere, affermano, e lo si vede con i voti ottenuti dagli altri candidati. Ma la verità è che anche gli altri candidati hanno raccolto quel che si fa loro raccogliere ad ogni elezione: il 15-16 per cento i comunisti e il 10-11 Zhirinovskij, il clown al guinzaglio del Cremlino. Mentre il solo personaggio nuovo, l'indipendente (e stravagante) Bogdanov, ha avuto l'1 per cento.
Basta adesso, però, col metodo elettorale Putin. I lettori dei giornali europei sanno già da tempo come si svolgono le elezioni in Russia, e possono da soli valutare e commentare i risultati di queste presidenziali. Più interessante può essere invece dare ancora un'occhiata all'eletto di ieri sera, Dmitrji Medvedev.
Perché una cosa è certa. Tra qualche settimana, quando al Cremlino avverrà il passaggio formale delle consegne, all'apice del potere moscovita ci sarà un personaggio diverso, e per certi aspetti assai diverso, da tutti quelli che vi s'erano succeduti dalla rivoluzione russa in poi. Vale a dire da poco più di novant'anni.
Medvedev non è infatti un rivoluzionario di professione come Lenin o Stalin, né un "apparatcik" del partito comunista dell'Urss diplomato per corrispondenza come Kruscev, Breznev, Cernienko o Eltsin. Non è un uomo di media istruzione emerso da una lunga e grigia carriera nella burocrazia del partito come Gorbaciov, non un capo del Kgb come Andropov, e neppure un ex tenente colonnello dello stesso Kgb come Putin.
Insomma, Dmitrij Medvedev non ha nulla a che fare con le biografie personali e politiche dei suoi predecessori, comunisti e post-comunisti, al Cremlino. Per studi, formazione giuridica, esperienza del mondo economico e buona conoscenza dell'inglese, somiglia non poco ad un politico europeo, un francese, un tedesco, uno spagnolo. Proviene infatti da una famiglia d'intellettuali, e avendo solo 42 anni non ha fatto a tempo, prima del crollo dell'Urss e del comunismo, ad avere rapporti politicamente significativi con uno o un altro settore del sistema sovietico. La facoltà di giurisprudenza a Pietroburgo dove s'è laureato negli anni Ottanta aveva una vaga fama di ambiente liberale, e il suo primo lavoro è stato al Comune di Pietroburgo (a quel tempo ancora Leningrado) col sindaco Anatolij Sobchak, anche lui considerato un liberale.
È vero: proprio al Comune di Pietroburgo avviene il suo incontro con Putin, che si rivelerà l'evento centrale, decisivo, nella vita di Medvedev. Siamo alla fine degli Ottanta, e da allora i due non si sono infatti più allontanati. La irresistibile ascesa del giovane giurista sarà tutta trainata da Vladimir Putin, divenuto nel '99 primo ministro e il primo gennaio 2000, con le dimissioni di Eltsin, presidente della Federazione russa. Prima le importanti cariche nella segreteria di Putin, poi la presidenza del colosso Gazprom, quindi la nomina a primo vice-primo ministro, e ieri sera l'elezione a capo dello Stato. Il tutto in soli otto anni.
Lasciamo da parte per ora i dubbi emersi già a dicembre, dopo che Putin aveva designato Medvedev come suo successore. Quali margini di vera indipendenza, quali poteri effettivi potrà avere il nuovo presidente, essendo debitore d'ogni fase della sua carriera, una carriera davvero napoleonica, all'ex ufficiale del Kgb incontrato una ventina d'anni fa al Comune di Pietroburgo.
Lasciamo da parte questi dubbi e interrogativi, perché per ora nessuno sa esattamente come funzionerà la Russia della Reggenza, con un Medvedev che al momento sembra un re minorenne sotto la tutela di Vladimir Putin. Per capire qualcosa bisognerà aspettare almeno un anno, un anno e mezzo, se e quando verranno pian piano estromessi i capi dei clan che cumulano oggi il potere politico e il potere economico in Russia.
Quel che resta, però, è l'anomalia del personaggio sullo sfondo della transizione post-comunista. L'uomo con cui tratteranno nei prossimi mesi i governi europei e l'amministrazione americana. Il quale non ha il volto impenetrabile né i modi spigolosi di Putin, ma al contrario il sorriso cordiale, il tratto business-like, d'uno dei suoi colleghi in Occidente. E infatti non è un caso che la comunità internazionale degli affari aveva sempre puntato, in vista della successione, sul suo nome.
Oggi almeno, quindi, immaginare Medvedev con la grinta, la tracotanza che Putin ha esibito dal marzo 2006, dal discorso di Monaco, nei confronti degli occidentali, riesce difficile. Difficile immaginarlo mentre ripete anche lui che sta per far puntare i missili nucleari sulle città europee, che ha dato l'ordine ai bombardieri strategici di riprendere i voli di pattugliamento. Insomma, dimostrarsi sulla scena internazionale il clone del suo Grande Elettore.
Ci si può sbagliare, questo è ovvio, specie quando si fanno ipotesi sulla base dell'aspetto fisico delle persone. Ma un abbassamento dei toni nelle relazioni con l'Occidente non è da scartare. I dissidi restano, dallo scudo spaziale all'allargamento della Nato e al Kossovo (tutte questioni su cui nessun governante russo può fare sconti), ma il linguaggio potrebbe farsi meno tracotante. La Russia ha un mare di gravi problemi interni, lo sviluppo economico, le crepe affiorate ultimamente nell'edificio del regime, e una pausa nell'antagonismo putiniano con l'Occidente può esserle utile.
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