| Nessuna legge elettorale e nessun “maggioritario”, risolverà le contraddizioni e forzerà i limiti che indeboliscono e infermano la nostra democrazia. E nemmeno il mito della “governabilità” sarà capace di rappresentare un collante autentico per una nazione socialmente e culturalmente disarticolata, nonché vittima, sotto il profilo economico, di modelli produttivi, di consumo e di riproduzione sociale che portano quella disarticolazione al limite del tracollo di civiltà (tutta la barbarie consumistico-televisiva-massmediatica e tutti i tracolli antropologici derivanti dal linguaggio-pensiero unico, derivano da lì). La “governabilità” sta alla democrazia oligarchica, come la “sicurezza” alla guerra : due miti mistificatori per giustificare due processi di normalizzazione e neutralizzazione violenta delle spinte che derivano dal bisogno di cittadinanza, di giustizia, di libertà e di pace (art.3 della Costituzione). Senza una riforma radicale delle regole della democrazia e un ripensamento politico del modello produttivo, non sarà possibile alcun riscatto, alcun progresso e alcuna autentica crescita (altro mito, quando vada disgiunto dalla qualificazione umana, civile, dei diritti e della cittadinanza; nel teatro globale del Pensiero Unico, crescita è sinonimo di maggior produzione-consumo…). Ma, è ovvio, riforma della democrazia (della quale si chiarirà innanzi) e ripensamento a guida politica del “corporatismo” di mercato, si incapsulano nel cuore dell’utopia concreta : cioè nella speranza di un cambiamento morale e intellettuale della classe politica e di un suo allargamento in senso generazionale, il che richiede la critica consapevolezza di tutti e il recupero della cittadinanza perduta. La democrazia nell’età della globalizzazione o è integrale o non è. Mi spiego : le regole della futura ripresa democratica si possono riassumere nella necessità impellente di un nuovo processo di “divisione dei poteri” (sì, alla Montesquieu, ma nell’epoca postindustriale…). La politica dei partiti dovrebbe, entro un decennio, autoriformarsi in modo da diventare politica dei cittadini, dei territori, dei movimenti, delle autonomie. La deriva oligarchica cui stiamo assistendo, non concerne soltanto i due rami del Parlamento; questa bazzecola non fa che nutrire le Parche dell’antipolitica che tessono la loro trama di protagonismo personale e non riflettono seriamente sulle soluzioni. No, la contrazione oligarchica e manageriale investe tutto il sistema! L’aziendalizzazione della sanità, dell’istruzione, delle amministrazioni locali e di tutti i presidi distrettuali della macchina statale, ha creato una fortissima classe (anzi un corpo, un ceto) manageriale che si autoriproduce, si riferisce solo ed esclusivamente a se stessa e ai manager politici e ha perduto ogni contatto con la società. E in questo processo di aziendalizzazione, i partiti giocano il ruolo di feudatari, di collocatori di fedeltà e di privilegi, di crediti a lunga scadenza. Provate a controllare quanto guadagna un quadro dirigenziale di un Comune sopra i 50.000 abitanti? E il direttore di una ASL? E il presidente di una municipalizzata? E un assessore provinciale? Provate a controllare chi si trova sugli scranni dei Consigli di amministrazione strategici per un determinato territorio…Ci vuol molto a verificare che questa dinamica economico-politica, che esclude la cittadinanza ridotta a clientela-utenza, non concerne la “casta” parlamentare ma ben più gravemente si estende come una metastasi a tutto l’organismo della democrazia??? Ci vuol molto a capire che quel sistema è facile preda della criminalità organizzata al Sud e più che altrove stritola con gli interessi dei cittadini , la loro libertà? Divisione del potere; rioccupazione degli spazi della cittadinanza; gestione autonoma (dei territori) e amministrazione democratica estesa degli accessi sociali fondamentali (salute, istruzione, lavoro – non un manager che parla con un politico o viceversa, ma 200 cittadini che rappresentano un territorio!!!). Una legge elettorale è autoreferenziale : serve a quel tipo oligarchico di potere per riprodursi al meglio e sempre più sganciarsi da qualsiasi controllo e possibilità di cogestione. Discuterne ossessivamente attraverso i ripetitori del Pensiero Unico, non fa che il gioco dell’oligarchia, deprivando i cittadini e riducendoli sempre più a bravi consumatori. Una presa di coscienza collettiva sta alla base, è chiaro, di una simile richiesta di rioccupazione degli spazi della cittadinanza (che significa individualità libera e associata; che significa differenza che dialoga; che significa autonomia rispetto a qualsiasi “linea” di partito; che significa impegno etico per le generazioni future…). Risulta allora evidente che, in una catena logica necessitante, oltre alla trasmutazione morale della classe politica che consenta la transizione (cambiamento radicale delle regole della gestione del potere), occorre procedere al ripensamento del sistema produttivo. E’ infatti l’attuale sistema delle grandi corporazioni finanziario-industriali e degli enormi interessi cui sono globalmente legate, che tiene legati gli individui al palo dell’ossessione superproduttiva e iperconsumistica (basandosi e riproducendosi esso sul solo vettore della concorrenza selvaggia e dello sfruttamento deregolato). Se una percentuale elevatissima di cittadini anziché esercitare la cittadinanza è costretta ad appiattire la propria personalità sugli schemi di quel sistema produttivo, allora non se ne esce. Perché ? Non c’è tempo, ma soprattutto non c’è consapevolezza : le energie sono assorbite dal desiderare gli stessi desideri, dal parlare gli stessi linguaggi valoriali, dal consumare di più per produrre di più…E dov’è la qualità umana per pensare/immaginare e poi abitare il cambiamento??? La politica mondiale, attualmente e con alcune significative differenze, è assolutamente assorbita dall’esigenza di riprodurre e stabilizzare quel sistema che la nutre e le garantisce continuità nel potere e quando vi sono fratture, la ricatta. Le differenze tra i fronti politici in Italia sono le seguenti : una parte che corrisponde esattamente alle esigenze di quel sistema produttivo e riproduttivo della società e talvolta vi si identifica nel senso che svolge le stesse funzioni (destra); un’altra che vi corrisponde e che lo ritiene l’unico possibile ma che si sente in dovere di apporre toppe (definite ipocritamente “riforme”) alle sue più evidenti contraddizioni sociali (centrosinistra). Ve n’è poi una terza, ma succube di ideologie nelle quali il centralismo, il partito-principe e gli ideologismi anticapitalistici bloccano e interdicono una visione davvero innovativa della democrazia. Ad altiora
Walter Loddi – Segretario regionale N.P.A. per l’Emilia-Romagna
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