| "La Stampa", 04 Marzo 2008, pag. 8
VERSO IL VOTO
Mastella, la grande fuga
L’amore finito/L’addio via lettera del vicesegretario Satta: «Non sono un traditore e capisco il tuo calvario»
L’ultima e più cattiva delle battute coniate a corollario della liquefazione dell’Udeur - e del malinconico declino del suo leader, Mastella - recita così: «Ormai ci manca solo che pure la moglie lasci Clemente...». Infatti, tutti quelli che potevano farlo lo hanno già fatto: senatori, deputati, vicesegretari, amici d’infanzia e perfino il vicesindaco di Ceppaloni, che è come se - si perdoni il paragone - Gianni Letta abbandonasse il Cavaliere: ma poiché ha «appreso della decisione di candidare il dottor Cataudo Claudio a sindaco di Ceppaloni e il cugino dottor Cataudo Alfredo alla Provincia, per altro ambedue della frazione di Beltiglio», anche il vicesindaco Carmine Tranfa sbatté la porta e se andò.
Non sono molti gli esempi di partiti sbriciolatisi come grissini nel giro di un paio di settimane: il Psi di Bettino Craxi ci mise di più, e perfino per il Pcus - travolto dalla storia e non da De Magistris - ebbe una fine più laboriosa. L’Udeur, invece, si è dissolta in un batter di ciglia: tanto che ieri sera, chiuso in ufficio col suo capogruppo alla Camera, Fabris («Se almeno lui resterà con me? Non lo so...»), Mastella aveva serie difficoltà a compilare addirittura le liste: «Quando ci sono gli abbandoni candido la povera gente, gli umili», aveva spiegato di buon mattino di fronte alle telecamere di Canale 5. A sera, però, perfino trovare degli umili e della povera gente sembrava esser diventato un problema...
Tutti fuggiti a gambe levate, bruciante conferma di quanto fossero non commerciabili i valori fondanti del partito appena evaporato. Ieri, gli ultimi in ordine di tempo a disertare sono stati l’intero gruppo dirigente dell’Udeur umbro - parlamentari e segretari - e il noto senatore Tommaso Barbato: quello, per intenderci, che nell’aula di Palazzo Madama sputò sul collega Cusumano, reo di non aver voluto seguire l’Udeur nel voto col quale affossò il governo Prodi. Barbato se ne va rivendicando - si direbbe senza nemmeno autoironia - di non essersi «mai risparmiato in Campania e, da ultimo, nell’aula parlamentare del Senato»: luogo nel quale, effettivamente, nell’ultima tempestosa seduta non risparmiò né sugli insulti né sulla saliva.
Nel fine settimana aveva invece lasciato uno dei vicesegretari dell’Udeur, Antonio Satta: il sabato ha abbandonato il partito, la domenica ne ha fondato un altro, il Pas (Popolari autonomisti sardi). Vale la pena di citarlo, perché la lettera con la quale ha comunicato il suo addio a Mastella, offre la misura esatta di cosa sia nella realtà un “partito personale”: «Sono stato sempre corretto e amico vero... Sono stato vicino a te e alla tua famiglia con sincero affetto... Non merito il tuo gelo perché non sono un traditore e non mi sono mai divertito a trattare di qua o di là... Comprendo il tuo calvario e vorrei fare l’impossibile per rivederti di nuovo nel ruolo di vero, grande leader». Quasi una dolorosa lettera dopo un amore finito. Comunque, visto che nemmeno a Satta riesce l’impossibile, ha preferito accontentarsi del possibile: un nuovo partito, una nuova avventura e che Dio gliela mandi buona.
Ma in fondo è vero: quelli che scappano dall’Udeur lo fanno quasi con dolore, e certo obbligati dal fatto che la nave affonda. Perché Mastella ha davvero sempre avuto una parola buona per tutti, se poteva aiutare lo faceva, una raccomandazione qui, un aiuto lì, e poi le grandi abbuffate sannite, la festa del partito, un potere certo opprimente nel suo «regno» dove davvero non si muoveva foglia che Clemente non voglia. Un modo di far politica antico, del quale non se ne poteva più: ma invecchiato in un istante, troppo rapidamente perché Mastella riuscisse a rendersene conto. Nemmeno un mese fa difendeva a viso aperto la pratica della raccomandazione e la filosofia della lottizzazione: sicuro che anche stavolta la bufera sarebbe passata.
Non aveva colto il salto del tempo e quel che andava accadendo nei due grandi partiti in formazione. In verità, accoltellato Prodi, da Veltroni non s’aspettava niente: era da Berlusconi che s’attendeva riconoscenza. Sabato scorso, invece, ha capito che era finita: «Il discorso con Mastella è chiuso - sentenziò il Cavaliere -. Non c’è sintonia tra l’immagine rappresentata da un certo modo di fare politica e quello che è il sentimento del Popolo delle libertà». Non se l’aspettava, ma rinunciando - almeno per ora - a svelare promesse tradite e accordi violati, ha tentato di uscire di scena dignitosamente: «Se non avrò il voto della mia Campania, pazienza... torno a fare le cose che facevo da ragazzo». E in ultimo, una velenosa profezia: «Pare che io sia il male del Paese... Pazienza, se si elimina il male eliminando Mastella, ne sono contento. Ma davvero non credo che sarà così». Magari ha ragione. E come si dice in casi così, chi vivrà vedrà...
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